Quando Jonas Salk annunciò, nell’aprile del 1955, di aver sviluppato con successo il vaccino contro la poliomelite, la notizia fu accolta in tutto il mondo con momenti di giubilo collettivo. Campane a festa nelle città, fabbriche ferme e persino processi nei tribunali sospesi per permettere alla gente di ascoltare la notizia alla radio e festeggiare.

“È come se fosse finita la guerra!” scrissero alcuni giornalisti.

Salk non volle brevettare il suo vaccino (“si può forse brevettare il sole?” dichiarò) e fu accolto come un eroe moderno capace di sconfiggere una malattia infettiva che terrorizzava il mondo, in grado di uccidere o paralizzare ogni anno più di mezzo milione di persone.

A settant’anni di distanza, il clima con cui alcune innovazioni scientifiche vengono accolte è invece ben diverso. Basti pensare a come, talvolta, chi è a forte sostegno dei vaccini o lavora in laboratorio allo studio di nuovi presidi subisca persino minacce di morte e a come il movimento no-vax abbia preso piede, nonostante sia condotto da una minoranza inquieta.

È evidente che la scienza, soprattutto negli ultimi decenni, non sempre è riuscita a far capire le sue ragioni e abbia commesso alcuni passi falsi: prima di Chernobyl, del DDT o di altri episodi simili, lo scienziato veniva creduto sulla parola. Viveva in una torre d’avorio e il suo verbo era recepito senza repliche dal popolo. Oggi questo meccanismo non è più proponibile: nel ‘contratto’ tra scienza e società si chiede coinvolgimento, bidirezionalità, comunicazione partecipativa. Si pretende il dialogo. Per intenderci, anche senza avere competenze, i cittadini vogliono diventare interlocutori consapevoli, chiedono di essere informati e di esercitare il ruolo di cittadinanza attiva. Oggi la società vuole sapere chi sei e cosa fai, se la tua ricerca produce effetti rischiosi o dannosi, come spendi i soldi pubblici o privati, ma soprattutto vuole essere rassicurata.

Si è venuto quindi a creare un nuovo rapporto tra scienza e società.

In questo contesto agli scienziati vengono chieste alcune importanti competenze e la comunicazione della scienza non è più semplice divulgazione. È bensì un processo in cui diversi soggetti producono conoscenze, messaggi e atteggiamenti da sottoporre a tutti i non addetti ai lavori con l’intento di costruire un clima di reciproca conoscenza e fiducia. Fino a poco tempo fa il tipo di comunicazione che gli scienziati erano abituati a fare era molto lontano da quello adatto a ‘parlare’ al resto della società. Di norma quella scientifica è una comunicazione fredda, neutra, senza emozioni, provvisoria, chiamata a revisioni, verifica fonti, tempi lunghi, nonché articolata da un’esposizione semplice e impersonale, un linguaggio specializzato, conciso e senza divagazioni. La narrazione nella società moderna, invece, è diventata ricca di metafore, ha tempi rapidi e deve suscitare emozioni. In pratica, è l’esatto opposto.

Negli ultimi trent’anni, la salute ha acquisito un ruolo centrale e di grande visibilità in molti flussi comunicativi. Il concetto stesso di salute è cambiato, in quanto oggi è inteso a più ampio spettro come uno stato di benessere fisico, sociale e mentale, mentre la sua comunicazione è ormai di pubblica utilità e rientra tra i grandi temi sociali. Di conseguenza comunicare riguardo argomenti di sanità pubblica significa modificare il senso delle nostre vite e delle nostre relazioni, il modo con cui viviamo e ci relazioniamo con gli altri. Significa maneggiare uno strumento utile a far nascere idee, rappresentazioni, opinioni necessarie a interagire con la produzione culturale di un’intera società.

In questi anni di ‘infodemia’, si è capito quanto sia importante la divulgazione scientifica quale strumento attraverso il quale si interpretano i risultati della scienza e li si rendono fruibili a tutti. Trasformando cioè la crudezza dei metodi, dei numeri e delle formule in una narrazione più agevole, più facile da maneggiare e da far capire ai cittadini, così come alle istituzioni e agli uomini politici. In modo da far sì che, proprio come ai tempi di Salk, le più importanti scoperte per la salute pubblica vengano capite, accettate e, perché no, anche festeggiate.

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