Quarantacinque anni, tre trilogie cinematografiche più una manciata di ulteriori spin-off tra lungometraggi e serie televisive, alcune già realizzate e altre in corso d’opera. Questa è la distanza tra il primo Guerre Stellari e noi, fortunati contemporanei al centro di sconvolgenti eventi storici maggiori, incerti su ciò che il futuro ci riserva ma a mollo in un tripudio di celebrazioni della nostra stessa cultura pop.

A giudicare da quanto gli elementi di questa saga – ormai sconfinata – siano oggi radicati nell’immaginario collettivo, sembra passato molto più tempo. La ragione di questo successo sta nel particolarissimo zeitgeist che George Lucas ha saputo cogliere, in termini di rappresentazione cinematografica, e probabilmente al fatto che non gli furono concessi i diritti per fare un film su Flash Gordon: questo gli permise di creare da zero una mitologia tutta nuova, debitrice sì – nelle sue ambientazioni spaziali – dei fumetti di Alex Raymond e del ciclo dei romanzi di Barsoom di Edward Rice Burroughs, ma in grado di arricchire la trama di simbologie e linguaggi autonomi, genuinamente evocativi.

Quello che nella prima trilogia si delineava come un bildungsroman, il viaggio dell’eroe di un giovane protagonista che impara a rimanere in equilibrio nella lotta tra Bene e Male è diventato, nel tempo, un cosmo letterario autosufficiente, terreno di scontro perpetuo tra due visioni contrapposte del mondo: quella conservativa e mortifera dell’Impero, propria di chi risponde alla paura col pugno duro del controllo e della repressione, e quella proattiva dell’Alleanza Ribelle, che vede nell’unione e nell’accettazione della propria finitezza il mezzo per garantire al futuro equilibrio e soprattutto autodeterminazione. Dal lato di questi ultimi si irradia la Forza, energia invisibile mossa dal coraggio e dalla consapevolezza, e nell’angolo opposto risuona, cupo, il suo Lato Oscuro.

Un romanzo visivo di formazione che va oltre sé stesso dunque, traducendo in elettrizzante avventura pop la sempiterna ricerca di un bilanciamento tra i lati Yin e Yang dell’esperienza umana. Un modello narrativo dalle dinamiche dicotomiche, tipiche delle letterature occidentali, che tenta di abbracciare la sintesi, semplicistica ma efficace, del panteismo di certe filosofie orientali, tanto che per la figura del Maestro Jedi Yoda George Lucas pare si sia ispirato al monaco tibetano Tsenzhab Serkong Rinpoche.

A questi ingredienti vanno aggiunti il giusto condimento di soap opera, opportunamente speziato di amori, parentele e tradimenti, e il suggestivo, seminale design di Ralph McQuarrie, artista concettuale che a cavallo tra gli anni 70 e 80 ha condizionato per sempre il nostro modo di immaginare la fittizia frontiera spaziale.

Il successo di Guerre Stellari è merito anche di uno degli antagonisti più iconici della storia del cinema ovvero Darth Vader, novello Crono in armatura spaziale, aspirante figlicida e non plus ultra dell’autoritarismo più oscuro. Terrorizzato in gioventù dalla possibilità della morte dei suoi cari, quello che un tempo era l’enfant prodige delle forze del Bene cede alla paura e alle altre passioni tristi, e si trasforma lui stesso nel supremo latore di morte, in una inquietante minaccia liberticida. Alla generazione successiva viene dunque affidato il compito di emanciparsi da questo circolo di paura e morte, di passare attraverso una negazione del rapporto di filialità diretta col Male, per raggiungere poi la catarsi attraverso la rinuncia a parti di sé.

Tra i protagonisti di questa nuova generazione, al pari di Luke Skywalker, spicca la principessa Leia, modello rivoluzionario di protagonista femminile che non aspetta di essere salvata e anzi prende le armi, combatte e non si lascia subordinare dalle controparti maschili tanto che, negli anni della maturità, è proprio lei a guidare il suo popolo con intelligenza. Il suo è un altro genere di Forza, che generosamente mette a disposizione di chiunque si unisca alla sua lotta. Il ricongiungimento col fratello non fa che aumentare l’emanazione della Forza stessa, completandola.

Quarantacinque anni fa Star Wars ha gettato le solide basi di un universo alternativo, che vive di tòpoi multiculturali, frutto di elementi di eccitazione presi dalla situazione internazionale dell’epoca, da quella sensazione di un mondo sospeso a metà tra l’asettico bianco o nero dell’Impero, delle sue stazioni spaziali e delle armature dei suoi troopers, e l’aridità e la desolazione della sua periferia, vittima di un grande divario che divideva il mondo in due. In mezzo, solo occasionali ma significative oasi di colore e vivacità (come la base dell’Alleanza Ribelle). Tutto questo veniva inserito in uno scenario digeribile per tutti, in cui convivevano in equilibrio l’elemento epico, quello fantastico e quello sentimentale. Il fatto stesso che gran parte delle rappresentazioni cinematografiche successive siano state oggetto di forti critiche e spesso causa di grande insoddisfazione per gli appassionati, certifica il fatto che la Fonte originale vibra ancora oggi più forte delle sue declinazioni, e che soprattutto quello zeitgeist, al netto degli inciampi, gode ancora di ottima salute.

Ai prossimi quarantacinque anni, e che la Forza sia con chi la sa apprezzare, e soprattutto capire.

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