Gli Stati Uniti scendono in piazza per il diritto all’aborto. Migliaia di persone manifestano in tutto il paese da New York a Washington, da Los Angeles a Boston passando per Austin, bastione democratico del Texas repubblicano e ultraconservatore. Le proteste sono solo un assaggio dell’”estate di rabbia” che si paventa. In giugno infatti la Corte Suprema dovrà prendere una decisione e l’orientamento dei saggi, emerso dalla bozza di recente trapelata e pubblicata, è quello di capovolgere la Roe v. Wade, la storica sentenza del 1973 che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti.

Proprio la fuga di notizie dalla Corte Suprema agli inizi di maggio è alla base della protesta delle donne americane che non vogliono vedersi strappare un diritto faticosamente conquistato in anni e anni di battaglie. Un’ira che pesa sulla Casa Bianca: di fronte all’incapacità di agire di un Congresso spaccato la pressione sale su Joe Biden, chiamato da più parti a intervenire per difendere l’attacco ai diritti delle donne. Per il presidente, in vista delle elezioni di metà mandato, l’aborto è un tema particolarmente spinoso, perché rischia di ampliare ulteriormente le profonde divisioni già esistenti nella società americana e di alienare molti elettori. Nonostante questo, per Biden e i democratici si tratta di una battaglia cruciale, nella quale c’è in gioco anche la tutela della privacy. “Ricordatevi quello che vi dico ora: dopo la brutalità dell’aborto nel mirino finiranno le nozze gay”, ha detto di recente il presidente, mettendo in guardia sull’ampia portata che la decisione della Corte Suprema a maggioranza conservatrice – grazie alle tre nomine effettuate da Donald Trump – può avere a livello sociale.

Se i saggi decidessero di capovolgere la Roe v. Wade, infatti, l’aborto diverrebbe immediatamente illegale in decine di Stati americani. “Il nostro obiettivo qui in California è aiutare le nostre sorelle del vicino Texas”, spiega la fondatrice di Women’s March Foundation Emiliana Guereca, riferendosi al fatto che il Texas è uno degli Stati americani dove le interruzioni di gravidanza diverrebbero illegali del tutto costringendo le donne a cercare assistenza altrove. Fra i manifestanti la rabbia è palpabile. “La Corte Suprema dovrebbe difendere i diritti, non cancellarli“, è uno dei mantra ripetuti. “Intorno al tema dell’aborto ci sono molti equivoci. Molti pensano solo a bambini non voluti, ma non è così. Ci sono donne costrette ad abortire per complicazioni, altre perché la loro vita è in pericolo”, afferma Lauren Frazier, direttrice della comunicazione e del marketing di Planned Parenthood Southeast, intervenendo ad Atlanta. Dopo aver protestato davanti alle abitazioni private dei giudici costituzionali conservatori, nella capitale Washington, i manifestanti hanno marciato verso la sede della Corte Suprema con l’obiettivo di recapitare il chiaro messaggio dell’America: “Giù le mani dal nostri corpi. Nessuno può decidere cosa è meglio per noi se non noi stesse. Il corpo è mio e decido io”.

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