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Caso Fonsai, 16mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione per Giulia Ligresti

L'imprenditrice aveva chiesto un risarcimento da un milione e 300mila euro per errore giudiziario e per ingiusta detenzione. Ma i giudici hanno ritenuto che il risarcimento dovesse fermarsi a mille euro al giorno per i 16 giorni trascorsi in carcere, quelli dal 17 luglio al 2 agosto 2013, e non per quelli successivi e per il periodo passato ai domiciliari
Caso Fonsai, 16mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione per Giulia Ligresti
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A tre anni dall’assoluzione dalla parte della Corte d’appello di Milano che aveva revocato il patteggiamento, è arrivato un risarcimento per Giulia Ligresti, imprenditrice figlia del costruttore Salvatore, arrestata nel luglio del 2013 nell’ambito dell’inchiesta Fonsai e tornata in carcere brevemente appunto dopo la sentenza di patteggiamento per falso in bilancio aggravato e manipolazione del mercato. Ebbene dopo il riconoscimento della non responsabilità penale aveva chiesto un risarcimento da un milione e 300mila euro per errore giudiziario, come riporta il Corriere della Sera, e per ingiusta detenzione. Ma i giudici hanno ritenuto che il risarcimento dovesse fermarsi a mille euro al giorno, il triplo del previsto per i 16 giorni trascorsi in carcere, quelli dal 17 luglio al 2 agosto 2013, e non per quelli successivi e per il periodo passato ai domiciliari, nell’ambito dell’inchiesta di Torino. Quindi il risarcimento è pari a 16mila euro.

Il collegio ha infatti negato il ristoro milionario in quanto ha ritenuto che Giulia Ligresti avesse diritto a un risarcimento solo per i 16 giorni in cella precedenti alla istanza di patteggiamento avanzata il 2 agosto di quell’anno. E questo in quanto la richiesta di patteggiare è una “inequivocabile manifestazione di volontà dell’imputato” e “presuppone il suo implicito riconoscimento di responsabilità“. I mille euro al giorno sono una cifra più alta della media standard ma calibrata sul “clamore mediatico” dell’arresto e sulla “particolare afflittività” della detenzione. I giudici dell’appello, che avevano assolto l’imputata, avevano accolto la richiesta avanzata dai difensori Gian Luigi Tizzoni e Davide Sangiorgio di revisione della sentenza definita nel 2013 a Torino perché per gli stessi fatti il fratello Paolo era assolto e il verdetto era diventato definitivo rendendo “inconciliabile” le due sentenze.

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