di Monica Valendino

Il governo italiano, seguendo i diktat marchiati Usa e Regno Unito, continua a sostenere apertamente una guerra che doveva rimanere regionale e si sta trasformando nel terzo conflitto mondiale. Perfino paradossale che Mario Draghi da una parte annunci il sostegno armato (di fatto un’entrata in guerra) e dall’altro non neghi che la ricerca è la pace. Forse servirebbe che qualcuno spieghi bene al premier e ai suoi omologhi alleati che ignorarono il termine “pace”.

Etimologicamente nasce dal sanscrito “pak” da cui deriva anche patto (pactum, da pax). Un patto frutto necessariamente di un negoziato (negotium, negazione dell’ozio). Serve quindi trattare e non inviare armi e fondi per prolungare un conflitto che può solo allargarsi: perché quello che appare certo è che a questo punto nessuno abbia intenzione di fare un passo indietro. La posta in palio è diventata terribilmente alta ed è impensabile che sia Putin sia Zelensky, mosso dai suoi alleati Nato, possano decidere di tirarsi fuori. Chi crede che poi la Russia possa uscirne sconfitta è un pazzo oppure un ingenuo, perché se davvero si troverà in un angolo l’unica arma sarebbe un’escalation ulteriore con tutto quello che ne conseguirebbe.

Per cui urge abbandonare l’attuale stato di inerzia verso l’irrimediabile, per cercare un compromesso che non può non prevedere rinunce da tutte le parti. Alcune fonti già paventano un modello svizzero più che coreano per l’Ucraina, alla faccia della guerra in nome di libertà o dell’integrità territoriale di una nazione. Queste sembrano sempre più delle balle da far ingoiare ai propri cittadini, perché la storia insegna che una guerra finisce sempre con un territorio diverso e che il mondo non cambierà di certo i propri modelli sociali, anzi: questo conflitto consoliderà le differenze proprio verso un multilateralismo sempre più marcato.

Non c’è quindi prospettiva di pattuire qualcosa arrivando alla pace se prima non si arriva a comprendere che ci sono situazioni che non possono portare a un vincitore. Questa è una di quelle, prima i politici smettono l’abito napoleonico prima si arriverà a quel punto. La domanda è: ne sono capaci?

Di certo c’è che in Italia, mentre il governo va in un senso, la maggior parte delle persone va nell’altro. Ai cittadini interessano i salari fermi al Duemila, le pensioni che non sono sufficienti per la metà degli anziani ad arrivare a fine mese, l’inflazione, la tutela delle aziende. La solidarietà a un popolo in guerra non mancherà mai, ma appare quasi paradossale che sia i generali sia i cittadini siano d’accordo che non è armando una parte in causa che si arriverà prima a una trattativa e quindi alla pace.

L’unico a non accorgersene è Mario Draghi assieme ai suoi fedeli alleati: alla faccia di chi, quando si è insediato, non ha smesso di sottolineare che aveva studiato dai gesuiti! La domanda è: può lui prendere decisioni in nome di un popolo che anche dai sondaggi non appoggia la sua politica? Un premier mai passato per il voto, sponsorizzato da un presidente della Repubblica che l’ha fortemente voluto nonostante fosse chiaro che una vera maggioranza non esisteva più dopo che i due Matteo avevano di fatto messo fine alla legislatura; un parlamento da un anno praticamente esautorato delle sue funzioni; partiti che litigano ma che per paura del voto continuano ad appoggiare il loro presidente del consiglio? Una situazione che sarebbe inaccettabile in tempi normali, figurarsi oggi quando l’Italia dovrebbe avere un governo e una maggioranza che rappresenti davvero i cittadini, i quali capiscono meglio di tutti che la neutralità in questo frangente potrebbe non solo aiutare ad arrivare a un tavolo di trattative più rapidamente risparmiando molte vite, ma anche favorire dialoghi futuri. O qualcuno pensa davvero che dopo tutto questo nessuno tratterà più con la Russia?

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