Le consulenze affidate a società e professionisti per un’eventuale fusione di Banca Etruria furono inutili e ripetitive e contribuirono ad aggravare il già precario bilancio dell’istituto. Con queste motivazioni, al termine della requisitoria, la pm di Arezzo Angela Masiello ha chiesto la condanna a un anno di reclusione per Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Etruria e padre dell’ex ministra – e deputata renziana – Maria Elena. La stessa pena è stata richiesta per l’ex dirigente Luciano Nataloni e per altri due imputati nel processo sul filone delle cosiddette “consulenze d’oro”, nell’ambito del più ampio procedimento sul crac dell’istituto di credito aretino. Gli ex vertici (tra cui Boschi) e i membri del consiglio d’amministrazione che ratificò quegli incarichi devono rispondere di bancarotta colposa per non aver vigilato sulle consulenze affidate all’esterno. Chieste condanne tra gli otto e i dieci mesi anche per gli altri dieci imputati.

Secondo la Procura le consulenze hanno pesato per circa 4,3 milioni di euro sul già traballante bilancio di Banca Etruria. Si trattava di incarichi a società specializzate per analizzare la situazione e successivamente avviare il processo di fusione, così suddivisi: 1,9 milioni per la consulenza della società Bain&Co, 532mila euro per un incarico di due mesi a Mediobanca, advisor del processo di aggregazione, e ancora per gli studi professionali Franzo Grande Stevens di Torino, a cui andarono 824 mila euro, lo studio romano De Gravio e Zoppini per 800 mila, e altre 200mila euro per lo studio Camuzzi, Portale e De Marco. Le prossime udienze sono calendarizzate per l’11 e il 12 maggio, quando sono previste le arringhe dei difensori, mentre la sentenza è attesa per la fine del mese. Pier Luigi Boschi e altri quattro dirigenti erano già stati prosciolti a ottobre 2019 dall’accusa più grave, quella di bancarotta fraudolenta.

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