Papa Francesco non si recherà a Kiev, come ipotizzato nel corso delle settimane scorse, ma ha già chiesto a Vladimir Putin di poterlo incontrare a Mosca. È il Pontefice stesso a rivelarlo in un’intervista rilasciata al direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, aggiungendo che l’azione diplomatica della Santa Sede è iniziata immediatamente dopo lo scoppio del conflitto: “Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono – dice – Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto ‘per favore fermatevi’“.

L’azione militare di Mosca, però, è andata avanti senza sosta e così il Papa ha deciso di provare a contattare direttamente il Cremlino. “Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca – aggiunge il Pontefice – Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento”. Un atteggiamento che, sostiene Bergoglio, dimostra la mancanza di volontà del presidente russo di frenare l’avanzata dei suoi uomini, almeno per ora. Un’avanzata che, aggiunge però, può essere legata “all’abbaiare della Nato alle porte della Russia” che ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto: “Un’ira che non so dire se sia stata provocata – aggiunge -, ma facilitata forse sì”.

La verità, sostiene, è che quella ucraina è solo l’ultima goccia di una scia di sangue che dall’inizio degli Anni Duemila ha attraversato molte guerre, tutte alimentate da interessi di Stato: “La Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali – continua – Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio”.

A Francesco viene anche chiesto un parere sull’invio di armi all’Ucraina da parte dei Paesi occidentali, ma su questo dice di non avere una posizione definita, nonostante durante il suo pontificato si sia sempre schierato contro la produzione massiva e il commercio diffuso di mezzi d’armamento: “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano”. E ha colto l’occasione per ricordare le proteste dei portuali di Genova contro le navi cariche di armi passate per la città ligure: “Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto ‘pensiamo ai bambini dello Yemen’. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così”.

E poi chiude: “A Kiev per ora non vado. Ho inviato il cardinale Michael Czerny, (prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo umano integrale) e il cardinale Konrad Krajewski, (elemosiniere del Papa) che si è recato lì per la quarta volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. Ha avuto poi anche l’occasione di parlare con il Patriarca della Chiesa Ortodossa russa Kirill che in queste settimane si è contraddistinto per il suo appoggio alla decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina: “Ho parlato con lui 40 minuti. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto ‘di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi’. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”. L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il rapporto con Mario Draghi è buono, è molto buono. È una persona diretta e semplice. Ho ammirato Giorgio Napolitano, che è un grande, e ora ammiro moltissimo Sergio Mattarella. Rispetto tanto Emma Bonino: non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau”.

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