Per l’atteggiamento meticoloso con cui multava i passeggeri privi di biglietti, Trenitalia lo aveva licenziato nel 2017 “per giusta causa”. Ma Francesco Bonanno, capotreno 61enne di Jesolo diventato famoso per aver staccato circa 5mila contravvenzioni, non si è arreso e ha fatto ricorso al giudice del lavoro e ha vinto la causa, nonostante Trenitalia si fosse opposta in tutti i gradi di giudizio. Sulla base delle verifiche condotte dall’azienda, il capotreno, nel biennio 2014-2016, avrebbe emesso infatti 175 ticket– appena il 3,5% del totale delle contravvenzioni da lui comminate, secondo la sua difesa – il cui importo risultava sbagliato. In sostanza, alcuni passeggeri avrebbero pagato una multa più salata rispetto a quella prevista.

Per l’azienda si trattava dunque di 175 infrazioni, che hanno causato “un incalcolabile danno anche d’immagine alla Società, come comprovato dalle proteste formali» dei pendolari. In più, Trenitalia giustificava il provvedimento spiegando che quelle multe hanno comportato 9.800 euro di mancati introiti perché «il capotreno ha ripetutamente e deliberatamente applicato tariffe o sanzioni a proprio piacimento in spregio dei regolamenti ferroviari”. Bonanno, secondo l’accusa, si sarebbe pure intascato indebitamente 415 euro di premi” previsti per i controllori che emettono i titoli di viaggio.

Nonostante ciò, di fronte alla sentenza della Cassazione, Trenitalia ha dovuto gettare la spugna e reintegrarlo. I supremi giudici hanno dato ragione al dipendente, descrivendolo come un uomo di “zelo non comune, inflessibile ed estremamente puntiglioso nell’elevare contravvenzioni”, un controllore dotato di “intransigenza zelante”. Un capotreno “inflessibile ed estremamente puntiglioso”, certo, ma senza “finalità esclusive di lucro né in mala fede contro l’azienda“.

“È la fine di un incubo“, racconta Bonanno al Corriere. “Fin dall’inizio il giudice del lavoro mi aveva dato ragione – prosegue – e l’azienda mi aveva reintegrato senza riassumermi: sono rimasto a casa per un anno e mezzo percependo lo stipendio senza lavorare. Per me non era una questione di soldi: volevo tornare a indossare la mia divisa. Amo questo mestiere e ho grande rispetto per Trenitalia. Provengo da una famiglia di ferrovieri e fin da bambino sognavo di trascorrere la mia giornata andando su e giù per i vagoni».

Il capotreno ammette di essere stato fin troppo solerte nel biennio preso in esame da Trenitalia, ma respinge l’accusa di essere lo ‘spauracchio dei passeggeri’. “Al contrario, mi adorano – spiega -perché i “furbetti” sono una minima parte. La quasi totalità degli italiani paga il biglietto e mal sopporta l’idea che ci sia chi gode dello stesso servizio senza sborsare un soldo. I passeggeri capiscono che io e i miei colleghi ci diamo da fare per evitare un’ingiustizia. Le dirò di più: la gran parte dei multati mi dice ‘so che sta facendo il suo lavoro’“.

A volte, Bonanno ha interpretato il proprio lavoro in modo diverso rispetto ai colleghi, ma questo non gli ha impedito di essere fedele all’etica del lavoro: “Molti mi hanno espresso solidarietà. Ma c’è anche qualcuno che non sopporta il mio modo di lavorare, mi accusano di essere troppo rigido, sparlano alle mie spalle. Io però – conclude – vado dritto per la mia strada: sui treni viaggia soltanto chi ha il biglietto”.

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