Papa Francesco affronta la Pasqua più drammatica del suo pontificato. E lo fa con una chiara indicazione geopolitica. La “Terza guerra mondiale a pezzetti”, che lucidamente indicò sin dall’inizio quale segno della contemporaneità, si è rovesciata in maniera inimmaginabile e orrenda sull’Europa, con la brutale invasione dell’Ucraina scatenata da Putin. Tra fine marzo e inizio aprile si è verificato tuttavia un salto di qualità. Fino a quel momento si fronteggiavano a Washington due linee: l’una tesa a trovare una via d’uscita attraverso il negoziato, l’altra mirante a mostrare alla Russia la “superiorità” degli Stati Uniti.

Il massacro di Bucha e il fallimento della presa di Kiev da parte dell’esercito russo ha fatto pendere la bilancia a favore di chi vuole la guerra totale contro la Russia. In Vaticano hanno registrato i passi della svolta. L’affermazione del presidente americano Biden a Varsavia che Putin non può restare “al suo posto”. L’accusa di “genocidio” rivolta da Biden alla Russia. E ora l’affondamento della nave ammiraglia russa nel Mar Nero, un’azione che per la sua complessità tecnologica implica il diretto coinvolgimento degli Stati Uniti.

Definire la guerra in Ucraina “genocidio” è semplicemente insostenibile. Sul giornale Domani, non propriamente putiniano, si riporta che il numero delle vittime civili accertato dall’Onu a tutt’oggi è di 1964. Quand’anche si moltiplichi per tre o per quattro, non si può in buona fede evocare il genocidio. Però se si usa il termine è chiaro che non si ha l’intenzione di sedersi a trattare con il destinatario di un’accusa così infamante. A Kiev si sostiene ora che si negozierà dopo la “vittoria”. L’esibita aggressività con cui l’ambasciatore ucraino in Germania ha accusato il presidente federale Steinmeier di avere una “ragnatela” di rapporti con la Russia e l’affronto del presidente ucraino Zelensky che ha respinto la visita di Steinmeier a Kiev rivelano la volontà di colpire le capitali europee, che potrebbero non condividere la prospettiva di una guerra totale alla Russia. Lo stesso vale per le esternazioni del premier polacco Morawiecki, che accusa Francia e Germania di creare spesso difficoltà durante le riunioni europee. L’intento è di intimidire qualsiasi possibile obiezione alla linea propagata dal governo di Kiev e imboccata da Washington.

Le critiche ucraine alla compresenza di una donna ucraina e una russa alla Via Crucis guidata da Francesco – insieme reggeranno la croce stasera – vanno nella stessa direzione. Si è mosso l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, accennando in un tweet alle sue perplessità e a “possibili conseguenze”. È intervenuto l’arcivescovo maggiore greco-cattolico ucraino Shevchuk con un attacco frontale al Vaticano, parlando di una “idea inopportuna e ambigua” e chiedendo praticamente la cancellazione dell’iniziativa. Lo stesso nunzio vaticano in Ucraina, monsignor Kulbokas – lituano – si è in qualche modo distanziato, spiegando che non avrebbe organizzato così il rito del Venerdì Santo, perché prima si deve fermare l’aggressione e la “riconciliazione avviene quando l’aggressore ammette la sua colpa e si scusa”.

Francesco non si lascerà silenziare. Ha condannato con parole inequivocabili la “violenta aggressione contro l’Ucraina”, ha denunciato il “massacro insensato”, ha bollato in termini durissimi le “crudeltà sempre più orrende, compiute anche contro civili, donne e bambini inermi” in terra ucraina. Tuttavia, al pari di Giovanni Paolo II, non perde mai di vista la prospettiva geopolitica globale. Anche il giorno in cui ha mostrato in udienza generale la bandiera ucraina di Bucha non ha mancato di sottolineare l’urgenza che “si metta fine a questa guerra!”. Anche, ha detto lunedì scorso, a costo di qualche sacrificio.

La posizione di Francesco è autonoma e intercetta le inquietudini e gli interrogativi – spesso inespressi – di una parte notevole dell’opinione pubblica. La guerra in corso non è un evento regionale e non è più il confronto tra Davide e Golia. E’ diventata una guerra per procura tra gli Stati Uniti (insieme alla Nato) e la Russia. Una guerra “che minaccia il mondo intero”, ammonisce il pontefice, un evento in cui il “mondo è uno scacchiere, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri”. Mentre denuncia con spirito religioso la furia fratricida dello spirito di Caino, Francesco esplicita una posizione di realismo del tutto laico, che non ha nulla a che vedere con un generico pacifismo o una presunta neutralità. (Tra le narrative messe in
giro per intimidire la Santa Sede c’è anche quella che Francesco, non nominando Putin, rischi di finire come Pio XII e i suoi silenzi. Anche Wojtyla, condannando frontalmente l’invasione americana dell’Iraq, non nominò mai G. W. Bush).

Bergoglio mette il dito sullo spartiacque politico di oggi: si vuole chiudere la ferita della guerra in Ucraina prima che degeneri in esiti catastrofici oppure, con fanatismo nazionalista, si persegue il miraggio di una “vittoria”? Il pontefice argentino ricorda che non si pone fine alla guerra con un’escalation del “mostrare i denti”. Non se ne esce puntando in crescendo su “altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari”. L’obiettivo – mette in chiaro l’autorevole rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica – non può e, in nome della razionalità, non è augurabile che sia la “prospettiva di una Russia indebolita e umiliata… considerata uno Stato paria o una superpotenza nucleare canaglia, in preda a impulsi revanscisti”, simili a quelli dei tedeschi dopo la Prima guerra mondiale. Alla narrativa tipica da guerra fredda, che in campo occidentale vede in Putin il “male assoluto” e la sua caduta come prodromo di un’aurora democratica a Mosca, Civiltà Cattolica replica che “non vanno assecondati i teorici che dicono che una nuova Russia senza Putin sarebbe una nazione democratica filo-occidentale: questo non accadrà, se non altro, in tempi brevi”.

Francesco pone l’obiettivo dell’avvio di “negoziati seri, veri”. Cosa che non sembra per ora interessare Washington mentre Putin parla di “binario morto”. Ma l’Europa su questo punto non sta battendo un colpo. A medio termine il Papa pone un altro obiettivo tutto politico: un “modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato”, in parole concrete la ricerca di un nuovo patto di Helsinki multipolare. L’idea di una nuova guerra fredda tra Occidente da un lato e l’asse Cina-Russia dall’altro è raggelante. Alla diplomazia vaticana non è sfuggito che la prima votazione all’Onu sulla condanna della Russia ha visto 141 i voti a favore e 40 tra contrari e astenuti. La successiva votazione per la sospensione della Russia dal Consiglio dei diritti umani ha mostrato un cambiamento notevole degli equilibri: 93 a favore dell’allontanamento e 82 tra contrari e astenuti. Più di metà della popolazione mondiale è contraria alla prova di forza in atto sullo scacchiere ucraino. Francesco interpreta la necessità di una ricomposizione internazionale. E non vuole essere il cappellano militare dell’Occidente.

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