Auguste Dupin è un personaggio fittizio frutto della mente di Edgar Allan Poe, uno dei padri del racconto poliziesco, della letteratura horror e del giallo psicologico. Ha straordinarie capacità deduttive che gli permettono di risolvere casi complessi di cronaca nera senza nemmeno recarsi sui luoghi del delitto, gli basta leggere i resoconti sui giornali. Le sue storie cupe indagano l’animo umano, risalendo i labirinti della psiche fino a influenzare l’immaginario letterario dei secoli a venire.

Tra i discendenti considerati meno nobili del genere ci sono i pulp magazine, riviste di narrativa spesso raccapricciante, talvolta eroica. In questa cornice, nel 1919, uno scrittore di nome Johnston McCulley dà vita sulla carta a un ricco nobiluomo che indossa una maschera nera per nascondere la sua identità, imprime un marchio distintivo sulle sue vittime e si oppone alla tirannia dei governatori colonialisti.

In un certo senso, associare le caratteristiche peculiari di Dupin e Zorro è quello che faranno Bob Kane e Bill Finger nel 1939, quando gli sarà chiesto di realizzare un nuovo supereroe, a pochi mesi dal grande successo di ‘Superman‘. I due autori si ispireranno ai personaggi dei pulp magazine di allora, detective mascherati come ‘Black Bat’ e ‘The Shadow’, protagonisti di avventure intrise di morte e mistero, e dispensatori di brividi per i lettori palpitanti. Sarà così che, su Detective Comics n. 27, al mondo della cultura di massa verrà presentato Batman.

Ma chi è Batman? È un avventuriero ossessionato da un misto di sete di giustizia e vendetta, che si veste di tenebra per tentare di darle ordine. Per meglio affrontare la sua crociata, sposa la necessità di infondere paura non solo nei propri nemici, ma in qualche modo anche nella popolazione che ha scelto di difendere. Oltretutto, al contrario di molti dei suoi colleghi supereroi, Batman è “solo” un uomo, privo di qualsiasi superpotere, che grazie all’abnegazione e a una motivazione interiore che rasenta l’ossessione, diventa qualcosa di più: non un superuomo, ma una leggenda urbana. Batman fa al posto del lettore quello che al lettore non sempre è consentito di fare nella vita di tutti i giorni: un giro nel lato oscuro. E di farlo da eroe della storia.

Ne consegue che sia stato trasposto tante volte al cinema e in televisione e ogni volta con una diversa chiave di lettura adatta al suo personale Zeitgeist. Se infatti il Batman di Adam West era colorato, naive e sopra le righe come gli anni ‘60 che l’hanno generato, quello firmato da Tim Burton era cupo e vintage, gotico ma pop, come la soglia tra gli ‘80 e ‘90. Persino il trascurabile Batman di Joel Schumacher viaggiava su un carrozzone roboante, figlio delle drammaturgie perlopiù assenti dei blockbuster patinati di fine secolo scorso. In seguito, all’ampiamente dibattuto e celebrato Batman paramilitare di Christopher Nolan – forse la versione più introspettiva e approfondita del mazzo -, si è aggiunta la violenta, diffidente e muscolare versione di Zack Snyder nell’universo cinematografico esteso della DC.

In questo, il più recente Batman di Matt Reeves si emancipa da tutte le incarnazioni che l’hanno preceduto perché recupera le origini tipicamente poliziesche del personaggio.

Trattandosi di un film in cui Batman è per la prima volta, di fatto, anagraficamente un millennial, le atmosfere stavolta richiamano, sia in musica che in fotografia, i capisaldi generazionali che col personaggio condividono le maggiori affinità elettive, da una Gotham crepuscolare e umida che ricorda molto la città del Corvo di Alex Proyas (1994), alle note dei Nirvana che scavano a piene mani nei traumi dell’innocenza perduta.

A tal proposito, in quanto millennial, quello interpretato da Robert Pattinson è un Batman più vulnerabile sia fisicamente che moralmente, soprattutto è il primo a dover affrontare l’idealizzazione del suo stesso passato e delle generazioni precedenti, la cui opera ha avuto parte fin troppo attiva nella produzione del marciume che affligge la Gotham odierna. L’infanzia da sogno che gli è stata strappata potrebbe dunque rivelarsi, per la prima volta, una cupa illusione.

Questo per dire che l’archetipo dell’uomo pipistrello ha radici che iniziano a essere antiche ma ancora vigorose, e in grado di estendersi verso un futuro che mantiene una continuità angosciante col passato che l’ha generato: la necessità di misurarsi con la tenebra.

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