Correva l’anno 1959 quando Pier Paolo Pasolini, su commissione della rivista Successo, percorse le coste italiane a bordo di una Fiat 1100. In realtà non tutte tutte, ma da Ventimiglia fino alla punta meridionale della Sicilia e poi la costa orientale. Peccato solo che non abbia testimoniato le coste sarde prima che arrivasse l’Aga Khan… Ne scaturì un reportage pubblicato allora in tre puntate e in seguito ripreso in un unico saggio sotto il titolo La lunga strada di sabbia.

Spesso mi viene da pensare quale sarebbe la reazione di Pasolini se vedesse l’Italia di oggi, e parlo in particolare del paesaggio che nei giorni nostri si presenta al viandante. Lui che nel 1974 si sarebbe lagnato di alcuni edifici moderni che rovinavano “la forma della città”, in quel caso di Orte.

Ma com’erano le coste italiane nel 1959? Già il titolo le illustra: una lunga strada di sabbia. Al massimo invasa da stabilimenti balneari, come accadeva a Spotorno. A Rapallo Pasolini non notava nulla di particolare: doveva ancora nascere il fenomeno della rapallizzazione, neologismo coniato proprio per definire l’edilizia selvaggia. In Liguria c’erano i porti commerciali, non ancora quelli turistici di cui la regione vanta il triste primato italiano, e che hanno sfregiato buona parte della costa. A Ostia non c’erano ancora i palazzoni che avrebbero costituito la chiusa dell’omonimo film dell’amico Sergio Citti nel 1970. Ischia: sull’isola Pasolini si ferma alcuni giorni e si intrattiene con Luchino Visconti che si vanta di essere stato uno dei primi a scoprirla. Oggi è nella lista dei territori con il più alto abusivismo d’Italia.

Sulla costa adriatica non c’erano ancora quei pennelli che cercano invano di salvare le spiagge dall’erosione, causata soprattutto dalla cementificazione dei corsi d’acqua. I trabocchi non servono più per pescare ma sono stati trasformati in ristoranti chic. Sul Delta del Po non si innalzava ancora quella ciminiera dispensatrice di morte che è la centrale di Porto Tolle, così come alle porte della Venezia repubblica marinara non si ergeva ancora la ammorbante Marghera e il suo polo chimico che molti anni dopo i Pitura Freska avrebbero cantato: “Marghera sensa fabriche saria piu’ sana”. E a Venezia le grandi navi non si profilavano ancora all’ombra del campanile di Piazza San Marco.

Ma della descrizione dell’Italia che fu, anche come grandi uomini (Pasolini cita oltre a Visconti, Sbarbaro, Rossellini, incontra Moravia e Fellini: oggi chi incontrerebbe?), quella che colpisce forse di più è quella di Taranto, che egli raggiunge dopo essere rimasto abbagliato dalla bellezza della costa che corre da Reggio Calabria alla città dei due mari. Ecco come la descrive: “Taranto, città perfetta. Viverci è come vivere all’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari e i lungomari.” E se la vedesse oggi? Caso vuole che proprio due anni prima del suo viaggio, nel 1957, a Roma si varasse la legge 634 “Provvedimenti per il Mezzogiorno”, che avrebbe costituito la base per imporre lo sviluppo industriale al sud Italia e alle isole.

Quello sviluppo malato che avrebbe portato anche alla realizzazione di poli a Bagnoli, Manfredonia, Gela, nel Sulcis, e, più di recente, all’inquinamento da petrolio della Basilicata, all’azzeramento degli aranceti della piana di Gioia Tauro o allo stabilimento Fiat di Melfi. Ma forse Taranto è proprio un caso di scuola. Con la sua industria siderurgica che sopravvive uccidendo. Mentre nelle parole del viaggiatore del 1959 si sente tutto lo stupore, l’incanto per la bellezza che sprigiona quella città. Il libro, come detto nella prefazione “E’ il documento di una passione straordinaria per l’Italia com’era e per la gente.” E’ un’Italia, purtroppo, morta e sepolta quella descritta da Pasolini. Oggi su quella lunga strada di sabbia si tengono i concerti del Jova Beach Party.

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