È una manovra a tenaglia quella che si sta stringendo sulle industrie alimentari italiane, strette tra aumento delle bollette energetiche, caro delle materie prime e sciopero degli autotrasportatori. “Una tempesta perfetta”, la definisce Vincenzo Divella, amministratore delegato di Divella spa, azienda della provincia di Bari tra i maggiori produttori di pasta in Italia. A preoccupare l’ad, in questo momento, è soprattutto la protesta dei camionisti che, nonostante l’intervento del governo, continuano a bloccare la Puglia. “Noi da lunedì siamo costretti a mettere in ferie le persone: è la prima volta in cinquant’anni” dichiara Divella. Una situazione comune a molti pastifici pugliesi: “la Molisana ha già fermato gli impianti da ieri, noi li fermeremo domani mattina”. Infatti, mentre in Sicilia, lo sciopero è stato revocato, in Puglia gli autotrasportatori proseguono ad oltranza. È uno sciopero selvaggio” commenta Divella, “il sottosegretario Bellanova ha chiuso un accordo con alcune sigle, ma non con i camionisti pugliesi: quelli che protestano non hanno un sindacato di riferimento”. Il problema è che la consegna della merci è bloccata da lunedì. “Vari mulini pugliesi sono fermi ormai da due o tre giorni: non ci mandano le semole perché i camion non possono circolare” spiega Divella. Che aggiunge “gli 80 milioni messi sul piatto dal governo sono un buon inizio ma insufficienti” a compensare gli aumenti del gasolio sopportati dagli autotrasportatori. Il fatto è che le proteste dei camionisti arrivano in un momento molto delicato per le imprese alimentari. “Da giugno dell’anno scorso i nostri costi di produzione sono cresciuti del 25-30%” spiega Divella, “mentre l’elettricità è aumentata del 150% e il gas addirittura del 500%”.

Ma il quadro è reso ancora più complicato dalla guerra in Ucraina. L’Italia infatti importa circa il 30% del grano usato per produrre la pasta dall’estero. “Ieri una nostra nave che doveva caricare grano russo è rimasta bloccata nel porto di Rostov”, nel mar d’Azov, specchio d’acqua separato dal Mar Nero dalla penisola di Crimea. Per l’azienda Divella, che produce 10mila quintali di pasta al giorno, i rincari del grano sono stati molto penalizzanti. Il prezzo, infatti, è quasi raddoppiato. “Il grano nazionale è passato da 28 euro al quintale del giugno dell’anno scorso a 54 euro” spiega il dirigente, “mentre quello estero ieri è cresciuto del 10%, arrivando a 60 euro: una diretta conseguenza della guerra”.

Le imprese, inoltre, hanno grosse difficoltà ad aumentare i prezzi per compensare, almeno in parte, i maggiori costi. I contratti con la grande distribuzione, infatti, sono semestrali, e impediscono quella flessibilità nei listini che sarebbe necessaria in un periodo di forti rincari. “I nostri fornitori fanno i prezzi mese per mese” prosegue Divella, “e se, per esempio, il cartone aumenta del 20%, per l’azienda è una perdita secca”. Un problema acuito dal fatto che le imprese alimentari sono state le prime a subire i rincari, già a giugno dell’anno scorso, mentre i grandi supermercati hanno iniziato a concedere alle aziende prezzi più alti soltanto tra ottobre e novembre. “Siamo riusciti ad ottenere che la pasta passasse da 30 a 60 centesimi a pacchetto (da mezzo chilo, ndr)” ricorda Divella. Un aumento che, però, si è rivelato insufficiente. “Abbiamo già fatto sapere ai nostri clienti che il prezzo della pasta salirà di 20 centesimi al chilo” dichiara l’ad, “mi auguro di poterlo ottenere in un paio di mesi”. Per l’impresa Divella, 310 milioni di fatturato e 310 dipendenti, le acque sono agitate ma ancora navigabili. “La grande azienda soffre ma soffre di meno” conclude l’ad, “sono i piccoli pastai, i piccoli imprenditori che faranno molta fatica con questi aumenti vertiginosi”. Del resto capire cosa succederà nei prossimi mesi è complicato. Per Massimo Menna, amministratore delegato del Pastificio Garofalo, 220 milioni di euro di ricavi e 222 dipendenti, “è difficile fare una previsione sui costi” anche alla luce del mutevole scenario internazionale. Anche se è certo, secondo il manager, che “gli ultimi avvenimenti avranno delle ripercussioni”. Al momento l’unica cosa che si può fare è contare i danni subiti e andare avanti. A incidere sul bilancio dell’azienda con sede a Gragnano, in provincia di Napoli, sono stati i rincari dell’energia e del grano, il cui prezzo, in otto mesi, è raddoppiato. E i costi di produzione, di conseguenza, sono esplosi: “Parliamo di un incremento di circa 500 euro per tonnellata di pasta” spiega Menna, “un aumento enorme per i produttori” a cui corrisponde, però, soltanto un euro in più al mese per i consumatori.

Ma a risentire della difficile situazione internazionale è un po’ tutto il settore alimentare, non solo i pastifici. “La bolletta dell’elettrcità di gennaio è stata più alta del 130% rispetto a un anno fa”, dichiara Luca Dovo, amministratore delegato di Tonitto 1939, piccolo gioiellino che produce gelati e sorbetti con sede a Genova. Si tratta di una delle tante aziende che, con una parola entrata ormai nel vocabolario corrente, viene definita energivora. “Consumiamo molto per i surgelatori” spiega Dovo. Ma, anche in questo caso, sono stati i rincari delle materie prime ad incidere molto sui costi. “Il latte, i grassi animali e vegetali, lo zucchero sono aumentati dell’80 se non del 100%” prosegue l’ad “mentre il cartone, la plastica e la carta del 50%”. Per Tonitto 1939, che realizza quasi la metà del proprio fatturato all’estero, un grosso problema sono i costi di trasporto. “I noli via mare sono ormai a livelli esorbitanti” commenta Dovo, “per spedire la merce negli Stati Uniti o in Canada con un container refrigerato ci chiedono 13-14mila euro contro i 2mila euro di un anno fa”. Il rischio, dunque, per le imprese esportatrici è di finire fuori mercato.

E la crisi ucraina non ha certo aiutato. “La chiusura di alcuni porti del Mar Nero e del Mare di Azov” si legge in una nota di Unione Italiana Food, “rappresenta un forte freno per l’offerta” di prodotti come frumento, mais e soia. Inoltre, l’associazione di categoria, che raccoglie 450 imprese alimentari, prevede ulteriori rincari per caffè verde, uova e zucchero grezzo. Si tratta di prodotti, spiega Union Food, “le cui quotazioni sono ai massimi storici da alcuni mesi per l’effetto combinato dei cambiamenti climatici e della corsa all’accumulo di beni essenziali da parte di alcuni Stati”. A preoccupare è soprattuto il fronte dell’export. Russia e Ucraina, infatti, l’anno scorso hanno importato dall’Italia prodotti alimentari per un valore di circa 850 milioni di euro. E i settori che potrebbero risentire dal blocco del commercio varato dall’Ue sono numerosi: il caffè, il cioccolato, la pasta e i prodotti da forno. Anche l’inflazione inizia a farsi sentire sulle aziende alimentari, attraverso “una sensibile contrazione dei consumi” ricorda l’associazione. A lanciare l’allarme per il comparto è il direttore di Union Food, Mario Piccialuti: “Esprimiamo fortissima preoccupazione per una crisi inedita e destabilizzante, che rischia di diventare insostenibile per le aziende di un settore trainante come quello alimentare”. Si tratta, infatti, di un segmento molto importante per il tessuto produttivo italiano. Secondo i dati del Ministero degli Esteri, il settore è secondo per fatturato soltanto alla metalmeccanica, con 145 miliardi di euro di ricavi nel 2019. L’alimentare, inoltre, conta 385mila addetti e rappresenta il 7,9% del totale dell’export italiano, per un valore di 35,4 miliardi di euro.

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