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Pier Paolo Pasolini, ‘Io so’ è un inno alla libertà di stampa e al ruolo degli intellettuali

Pier Paolo Pasolini, ‘Io so’ è un inno alla libertà di stampa e al ruolo degli intellettuali
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Cent’anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini. Autore di poesie, romanzi e film, odiato da molti, amatissimo da altri. Personalmente apprezzavo soprattutto i suoi saggi, che poi sono confluiti in una raccolta (Scritti corsari) pubblicata postuma.

Il saggio più famoso è un editoriale del Corriere della sera (14 novembre 1974) intitolato Cos’è questo golpe? Io so. Rileggerlo oggi (lo si trova, ovviamente, su internet) ci fa capire perché Fabrizio Gifuni abbia usato l’immagine di un “corpo mai sepolto” per significare la persistente attualità di Pasolini. Io so è infatti un vero e proprio inno alla libertà di stampa e al ruolo civile degli intellettuali; nello stesso tempo è un ammonimento a rispettare fino in fondo tale ruolo. Concetti, dunque, oggi ancora assolutamente “vivi”.

Fra le tante suggestioni di Io so ne scelgo due. A un certo punto del saggio Pasolini parla di “personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città ducale (mentre i boschi italiani bruciavano)”. Pasolini allude al tentato ”golpe Borghese” del 7-8 dicembre 1970. Una brutta storia, nella quale erano coinvolti vertici militari, membri dei ministeri, esponenti di primo piano dell’eversione nera, massoni come Licio Gelli, mafiosi di Cosa nostra. Scorgendovi anche profili comici e operettistici, Pasolini non immaginava di anticipare, in certo qual modo, anche l’esito sconcertante del processo penale, consequenziale per altro a quel “porto delle nebbie” che è stato a lungo il carattere distintivo della magistratura romana.

Con una sentenza del 1984, confermata in Cassazione nel 1986, la Corte di assise di appello di Roma ha assolto, con la formula “perché il fatto non sussiste”, tutti i 46 imputati (in primo grado condannati invece a pene varianti dai dieci anni agli otto mesi di reclusione). Da notare che in appello sono stati audacemente scagionati dall’accusa di cospirazione politica perfino gli imputati che avevano ammesso di aver preso parte al fatto, con la motivazione che la cospirazione era solo il parto di un “conciliabolo di quattro o cinque sessantenni”.

C’è infine un passaggio in Io so di Pasolini che mi induce a chiudere in modo scherzoso con un interrogativo: quanta perspicacia occorre per individuare almeno uno di coloro che, “tra una Messa e l’altra”, davano “le disposizioni” e assicuravano “la protezione” per nefandezza varie?

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