Il piano industriale di Tim sarà presentato ufficialmente il 2 marzo. Intanto i sindacati sono già scesi sul piede di guerra contro la prospettiva del frazionamento dell’azienda. E gli ex manager del vecchio monopolista di Stato hanno chiamato in causa Cassa Depositi e Prestiti e il governo di Mario Draghi per “un vero riassetto di Tim, basato sulla riunione delle due reti di accesso”. Obiettivo? Portare a compimento il progetto di unificazione dell’autostrada telematica dell’ex monopolista pubblico con l’infrastruttura della rivale Open Fiber, anch’essa controllata da Cdp. Intanto il nuovo amministratore delegato, Pietro Labriola, si è preoccupato di “non perdere di vista i bisogni dei clienti”. Ma non di modificare il progetto di spacchettamento degli asset già immaginato dall’ex numero uno, Luigi Gubitosi. Con l’unica differenza che non ci sarà il coinvolgimento del fondo americano Kkr.

Il progetto di Labriola, benedetto anche dal socio francese Vivendi, prevede infatti la separazione delle attività di servizi telefonici dalle altre attività del gruppo. In pratica, il cloud di Noovle, la cybersecurity di Telsy, le torri di Inwit, Ict di Olivetti e le attività di telefonia finiranno in una ServiceCo. L’infrastruttura di rete con i cavi sottomarini di Sparkle andrà nella società della rete, NetCo, dove dovrebbe poi confluire buona parte dei debiti e dei dipendenti. Aspetto, quest’ultimo, che è da sempre un punto dolente nel progetto di separazione della rete: nonostante innumerevoli tentativi, finora non si è infatti riusciti a trovare la quadra sul fardello dei debiti e la quota di dipendenti da trasferire nella società della rete. A questo si aggiunge poi la preoccupazione dei sindacati che, nonostante le rassicurazioni del management, temono una pesante riorganizzazione. In dettaglio, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbero esserci fino ad ottomila uscite volontarie, pari a un quinto dell’attuale forza lavoro, nell’arco del piano industriale 2022-2024. L’operazione, socialmente molto delicata, potrebbe essere giustificata dalla difficoltà della compagnia di mantenere gli stessi livelli di redditività del passato.

Sullo sfondo c’è poi anche un tema di politica industriale. Secondo un gruppo di manager, lo spezzatino dell’azienda affosserebbe per sempre l’industria delle telecomunicazioni italiane. In una lettera al Sole 24 Ore, l’ex amministratore delegato di Tim Vito Gamberale e gli ex direttori Umberto de Julio, Girolamo di Genova, Piero Bergamini e Roberto Pellegrini hanno chiesto al governo di realizzare il progetto della rete unica con le nozze fra Tim e Open Fiber. Secondo i manager, finora è emersa “la totale assenza dei governi italiani”, colpevoli di aver provocato “la desertificazione di settori nei quali era riconosciuta leader: l’elettronica, gli apparati di Tlc, il nucleare, la siderurgia. Tutti settori strategici, per un ruolo industrialmente forte del Paese”. Ma, a loro giudizio, ora è necessario cambiare registro perché “il successo della trasformazione digitale, e quindi del Pnrr, dipende dalla salute e dalla solidità del sistema Tlc, a partire da Tim”. Con un ruolo di primo piano per Cassa Depositi e Prestiti. “C’è da augurarsi che questa volta le forze sindacali possano avere un confronto autentico col governo, non tanto per negoziare su come contenere le ferite sociali, ma per chiedere ed ottenere il pieno recupero dell’Incumbent delle Tlc in Italia, né più, ma per niente meno, di quanto c’è in Europa – Hanno auspicato i manager -. Sarebbe, per il governo, ridarsi il diritto che fu negato per bloccare l’Opa dei capitani coraggiosi e quindi azzerare tutti i successivi errori mai evitati e mai affrontati”. E cioè quelli che hanno trasformato l’ex redditizio monopolista di Stato in una società estremamente indebitata.

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