È iniziato intorno alle 11 ed è durato circa un’ora e mezza l’incontro convocato a palazzo Chigi per discutere del settore auto. Presenziano solo ministri, non le parti sociali che lunedì, con un insolita lettera congiunta, avevano sollecitato il governo a intervenire sul tema delle ricadute economico e sociali della transizione dai carburanti all’elettrico. A presiedere la riunione Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, tavolo siedono poi i ministri dell’economia Daniele Franco e delle infrastrutture Enrico Giovannini, mentre il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e quello della Transizione ecologica, Roberto Cingolani si sono collegati in videoconferenza. Al termine dell’incontro non sono state rilasciate dichiarazioni. Secondo quanto si apprende durante l’incontro Cingolani avrebbe espresso “in una veloce call” la necessità di eliminare quanto prima le auto più inquinanti, sostenere una transizione verso ibrido ed elettrico tutelando, allo stesso tempo, le fasce più deboli della popolazione con incentivi all’acquisto e alla rottamazione che tengano conto del reddito.

Nel corso della riunione si sarebbe evidenziato che il settore è in sofferenza e ha bisogno di interventi “urgenti” ma anche “coordinati” tra loro. Ogni ministero ha illustrato le problematiche legate sia alle trasformazioni in corso per il comparto automotive sia per la mobilità e si sarebbe convenuto sull’opportunità di individuare una “strategia nazionale” attraverso la quale coordinare non solo gli interventi ma anche l’utilizzo dei vari fondi a disposizione, da quelli stanzianti con l’ultima manovra al Pnrr fino al Fondo per lo sviluppo e la coesione. In pratica i ministri si sono incontrati per dirsi che devono incontrarsi per affrontare dei problemi dell’auto. Oggetto di esame sarà anche il tema delle infrastrutture di ricarica che coinvolge i ministri Giovannini e Cingolani. E c’è la questione ammortizzatori sociali, visto che nel 2019 sono state utilizzate 26 milioni di ore di cassa integrazione, nel 2021 quasi 60. Del resto come ebbe a dire l’ex amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne, in Italia costa meno mettere in cig che licenziare.

L’associazione europea dei costruttori di automobili Acea ha lanciato un allarme sui ritardi nel ritmo di sviluppo delle infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici. “Il ritmo attuale di crescita è in ritardo rispetto alla domanda dei consumatori. Negli ultimi cinque anni, le vendite di auto elettriche sono cresciute quattro volte più velocemente rispetto all’accumulo di punti di ricarica”, ha spiegato il presidente Oliver Zipse.

Arrivano segnali positivi sul sito per la produzione di batterie elettriche che il gruppo Stellantis aveva annunciato di voler costruire a Termoli salvo poi frenare. Il governo metterà mano al portafogli, dovrebbe staccare un assegno da 370 milioni di euro a favore del gruppo francese-italiano nell’ambito di un investimento complessivo di circa 2,5 miliardi. A queste condizioni la “giga factory” probabilmente si farà. Non mancano però spunti di preoccupazione altri stabilimenti. Ieri la Fiom ha affermato che nello stabilimento Sevel di Atessa (Chieti) “La confusione regna sovrana e ribadiamo che non possono esserci problemi legati esclusivamente alla mancanza di componenti o alla situazione dei contagi. Secondo noi siamo in presenza di una strategia di Stellantis atta a mettere in difficoltà gli stabilimenti italiani – prosegue la nota Fiom – Se il mix produttivo di Sevel vede ormai da mesi un’alta produzione di furgoni a marchio Psa, relegando il Ducato a percentuali bassissime, come è possibile avere problemi di approvvigionamento motori. È cattiva programmazione o strategia di Stellantis di dare priorità alle forniture verso altri stabilimenti”.

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