A un anno esatto dalla fusione di Fca (cioè Fiat) con il Gruppo Psa e dalla nascita di Stellantis, come vanno le cose da quelle parti?

Come italiani, ovviamente, siamo particolarmente interessati alle sorti dei marchi Fiat, Lancia e Alfa Romeo, alle fabbriche italiane, ai lavoratori. Ci premerebbe poi che gli investimenti in tecnologia e innovazione fossero in costante, se possibile, forte crescita e che i risultati di tali tecnologie potessero essere di giovamento dell’intero sistema industriale italiano. Vorremmo, insomma, che a tenere alto nel mondo l’onore dell’industria automobilistica italiana non fosse solo la Ferrari. Anche se ci rendiamo conto di essere dei sognatori (ma in fondo i grandi imprenditori vivono di sogni) vorremmo che la cultura, il lavoro e il denaro speso in oltre un secolo di storia automobilistica italiana non finisse in nulla, o in poco. E la storia di Stellantis è tutto ciò che ci resta.

Da qualche decennio, in particolare nei mercati e nei paesi arretrati – tra i quali purtroppo va onestamente annoverata l’Italia – il destino finanziario ed economico di gran parte delle aziende, in particolare nel medio e nel breve periodo, non coincide più con gli interessi generali. La miopia, direi meglio l’ignoranza delle classi dirigenti (politici, imprenditori, manager, economisti) ha portato a crisi ricorrenti e a un restringimento degli obiettivi (alla famosa domanda di Steve Jobs: “Preferisci cambiare il mondo o vendere per il resto della vita acqua zuccherata?”, la stragrande maggioranza voterebbe per l’acqua zuccherata). In tal modo si è finito per autorizzare, spesso con formule assurde, la rottura dell’equilibrio, meglio della coincidenza, tra interessi individuali e interessi collettivi, quella che Adam Smith aveva postulato come caratteristica del libero mercato e della rivoluzione industriale e che peraltro mai avevamo conseguito, ma che per lunghi periodi avevamo perseguito.

Ovviamente, ci fa molto piacere apprendere che Stellantis, dal suo esordio in Borsa del 18 gennaio scorso, abbia visto il proprio titolo salire del 18,3% passando da 13,5 a 16 euro per azione. I profitti e la buona salute delle imprese sono la base per lo sviluppo, poi ci vuole il resto. Così non possiamo che essere felici, anche se i risultati ufficiali non sono ancora stati resi noti, del fatto che Stellantis si avvii a portare a casa per il 2021 circa 15 miliardi di utile operativo. È di sicuro un ulteriore buon segno anche il fatto che Exor, la società della famiglia Agnelli che controlla Fca, nuovamente nel 2021 sarà in grado di distribuire ai suoi azionisti dividendi super: Ferrari è cresciuta in borsa del 31,9% passando da € 176 a € 232 per azione; mentre il titolo Cnh (società controllata da Exor) è passato da 11 a 15 euro per azione; solo la Juventus, in forte calo, ha creato problemi alla famiglia.

Nel frattempo, il nuovo ad di Stellantis, il portoghese di adozione francese Carlos Tavares, ha preso contatto con gli stabilimenti italiani, traendone considerazioni che a breve vedremo alla prova dei fatti, giacché per il momento ci indicano solo problemi di scarsa produttività, ben noti e facilmente risolvibili: basterebbe investire. In verità, un po’ ci allarma la decisione recente dei nuovi vertici di Alfa Romeo di produrre solo su richiesta a partire dal 2023. Soprattutto se affiancata, per ora, al mancato rilancio dei marchi italiani, non solo Fiat ma Lancia e Alfa Romeo.

Siamo in attesa a breve della nuova strategia per il gruppo Fca, già per decisione degli Agnelli a triste predominanza americana, ma non crediamo che sarà sufficiente l’annunciato ennesimo rilancio di un modello del passato, in questo caso una nuova Fiat Punto, per svoltare dalla triste situazione presente. In realtà, per il colpevole ritardo con cui tutta l’industria automobilistica mondiale (a parte, ovviamente, Elon Musk) ha affrontato la rivoluzione elettrica; per la crisi conseguente al Covid, ma soprattutto per una precedente contrazione della domanda mondiale di automobili, le prospettive di ritornare ai numeri di un passato anche non lontano non sono certamente verosimili.

Fiat, marchio leader in Italia e caro al cuore degli automobilisti italiani, ha perso nel corso del 2021 ulteriori quote di mercato passando da 21 mila a 15 mila automobili immatricolate pari al 14,7% del mercato nazionale. Peggio ha fatto il gruppo Stellantis sceso al 37,7% rispetto al 38,8% dell’anno precedente. A dicembre l’intero gruppo ha venduto 31.687 auto, in calo del 34,8%, con la quota che scende al 36,6% dal 40,6%, non lontano dalle perdite di Volkswagen (-28,63) e Renault (-21,42). Di conseguenza in Italia, date queste premesse e queste serie storiche, le aspettative sono per un’insufficiente evoluzione del mercato automobilistico, non in grado di ringiovanire il vecchio e inquinante parco automobili, né tantomeno di rilanciare la produzione e l’occupazione nazionale.

Insomma, per Stellantis e per la famiglia Agnelli i conti nel primo anno sono in ordine, i ricchi dividendi non mancheranno. Ma l’aria per Fiat resta quella del famoso Tout va très bien, Madame la Marquise (a Torino e a Parigi ci capiscono).

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