E’ l’unico monoclonale efficace contro Omicron, lo producono a Parma ma finisce negli ospedali americani mentre i nostri rimango a secco, proprio quando il ceppo diventa prevalente. Colpa nostra: abbiamo comprato poche dosi e tardi, al punto che molte regioni hanno esaurito le scorte, e la richiesta di approvvigionamenti dell’Italia sconta ora gli effetti della corsa globale agli accaparramenti. “Siamo allo shortage nazionale”, ammettono i responsabili dei servizi farmaceutici regionali che ieri hanno partecipato al tavolo nazionale con Aifa che monitora dispensazioni e fabbisogno. Parliamo di Sotrovimab, l’ultimo dei quattro farmaci con proteine di sintesi autorizzati in emergenza in Italia contro il Covid, il solo ad aver dimostrato efficacia contro la variante sbarcata in Italia a fine novembre, che ha poi fatto le scarpe alla Delta, diventando oggi – stando ai dati dell’ISS – prevalente per l’81% dei casi.

La capacità neutralizzante contro la variante è stata annunciata dalla stessa casa farmaceutica Gsk il 2 dicembre scorso, sulla base di uno studio pre-clinico: ridurrebbe dell’85% il rischio di ospedalizzazione o morte. In Italia viene confermata dalla clinica: il 18 dicembre lo Spallanzani di Roma, ad esempio, dà notizia di un paziente trattato per il quale si osservava subito un miglioramento dei sintomi, dopo quattro giorni una repentina discesa della carica virale, dopo otto la completa negativizzazione. Aifa aveva dato indicazione al trattamento il 4 agosto 2021, sempre con le specifiche comuni ai monoclonali: adulti e adolescenti di età pari o superiore a 12 anni che non necessitano di ossigenoterapia supplementare per COVID-19 e che sono ad alto rischio di progressione a COVID-19 severa.

A quanto risulta al fattoquotidiano.it di quel farmaco il nostro Paese ha acquistato giusto 2mila dosi a dicembre e ne ha usate 1.542: oggi ne restano dunque meno di 500 in tutta Italia, tanto che una regione come la Liguria ne ha per 20 trattamenti soltanto mentre altre, specie al sud, neppure una. “I pochi che ci sono arrivati, in tutto 12, li abbiamo esauriti tutti, mi risulta che non ce ne sia uno in tutto il Piemonte, speriamo davvero arrivino lunedì”, fa sapere il responsabile del sevizio farmaceutico dell’Ospedale Maggiore di Novara che serve tutto il Piemonte Nord Orientale, con 4 Asl di riferimento (Novara, Vercelli, Biella, Verbano). Ma c’è chi ne ha avute/dispensate meno. Sono le premesse della tempesta perfetta: mentre si avvicina il picco della quarta ondata targato Omicron, l’occupazione delle terapie intensive sale al 18%, nei frigo della farmacie ospedaliere i farmaci efficaci contro la variante sono praticamente esauriti, e le regioni che ne hanno una scorta, per quanto minima, la dirottano a quelle rimaste del tutto a secco.

Una situazione delicatissima. Tanto che nell’ultima riunione di coordinamento nazionale con Aifa ai servizi farmaceutici regionali, che è avvenuta giusto ieri, è stata ribadita l’assoluta necessità di somministrare le poche dosi rimaste a pazienti ad alto rischio, evitando la dispersione delle poche rimaste a disposizione del sistema sanitario. Il 17 gennaio, da quanto si apprende, avverrà la consegna di ulteriori 5mila dosi, un numero che agli addetti ai lavori già pare sottodimensionato alle necessità dettate dall’andamento della curva, dal numero di persone infette e in rianimazione, dall’atteso picco dei contagi da Omicron. Insomma, ne servirebbero molte di più, ma di più non ce ne saranno. Perché mai?

Perché mentre il ministero della Salute, che acquista centralmente per poi distribuire alle regioni, faceva ordinativi a passo di lumaca e col contagocce, qualcuno faceva la parte del leone. In particolare gli Stati Uniti che, a quanto risulta al fattoquotidiano.it, hanno ordinato allo stabilimento Gsk 500mila dosi, condizionando così lo stock del farmaco su scala globale, a partire dall’Italia che in teoria lo avrebbe in casa, ma in pratica lo vede partire per l’estero. E’ una beffa che si ripete: anche i primi monoclonali, quelli contro il Covid delle prime ondate, furono acquistati tardi e tra molte resistenze, col paradosso che quelli prodotti a Latina venivano caricati sui camion frigo per volare verso altri Paesi, non negli ospedali italiani. Insomma, non abbiamo imparato dall’esperienza.

La speranza, fanno sapere i dispensatori regionali più sguarniti, è nel combinato tra le poche giacenze in via trasferimento, le dosi in arrivo per quanto modeste e gli antivirali come il Molnupiuravid, la cosiddetta “pillola Covid” della Merck autorizzata in distribuzione il 22 dicembre e disponibile effettivamente alle regioni dal 4 gennaio. La cui efficacia negli ultimi mesi si è ridotta (dal 50 al 30%), con limiti anche nell’elezione al trattamento (pazienti a rischio e fragili) e nella somministrazione (entro 5 giorni dai sintomi). Ma con questo, alla quarta ondata, tocca arrangiarsi.

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