La classe politica italiana e i giornali sembrano fortemente impegnati nel nuovo gioco di società, il totopresidente della Repubblica. Intorno a loro la società muore ma sembra proprio che non se ne accorgano.

Il marasma determinato dalla pandemia sta raggiungendo livelli inimmaginabili. Sono stati persi due anni preziosi senza rimettere in sesto i servizi sanitari, più che mai devastati dalle politiche neoliberiste di taglio delle spese e liberalizzazione selvaggia. Sul piano internazionale l’Italia è purtroppo in prima fila nel sostenere l’ostruzionismo europeo sui brevetti che, escludendo miliardi di persone dai vaccini, determina le condizioni per la nascita di varianti sempre più pericolose. La situazione è aggravata da posizioni retrograde, si tratti dei No Vax che rifiutano cure e vaccini o di Brunetta che rifiuta lo smart working.

L’altra grande angoscia planetaria del momento, il cambiamento climatico, viene anch’essa affrontata in modo del tutto inadeguato. Basti pensare che la recente legge finanziaria conferma gli incentivi alle energie fossili, in netta contraddizione cogli impegni assunti da Parigi in poi, per non parlare della tardiva riscoperta del nucleare, proprio mentre la Germania decide finalmente di farne a meno.

Le lobby bipartisan dominano la scena e indirizzano le scelte. Tanto a pagare sono le masse lavoratrici sempre più precarizzate e impoverite. Il territorio italiano è teatro di scorrerie di multinazionali pirata che vanno e vengono a seconda delle loro opportunità, lasciando sul lastrico migliaia di lavoratori e lavoratrici, mentre altri, come i dipendenti dell’ex Alitalia, sono vittime di fallimenti oramai pluridecennali della classe politica e imprenditoriale. Ma di loro non si occupa nessuno, visto che lorsignori partono dal presupposto che oramai si sono abituate a tacere, obbedire e soffrire in silenzio. Speriamo si sbaglino e qualche segnale positivo, come i recenti scioperi generali del sindacalismo di base e di Cgil e Uil, c’è.

Il panorama politico, invece, è più che mai sconfortante, al punto da chiedersi come faccia D’Alema a sostenere che il Pd sia guarito dalla sua malattia. Malattia che invece continua e per certi versi si aggrava e della quale il renzismo ha costituito solo uno dei sintomi. Malattia che consiste nel rinunciare a ogni progetto di trasformazione sociale, sia pure moderata, basata su desideri, esigenze e aspirazioni delle maggioranze sociali sempre più escluse e bistrattate. Malattia confermata dal cupo conformismo atlantista in materia di politica estera, dall’assoggettamento totale agli interessi dei mercanti di armi, dall’altrettanto totale incapacità di dare vita a serie e coerenti politiche di promozione dei diritti, a cominciare da quelli dei migranti e dei milioni di italiani di seconda e terza generazione ancora privi di cittadinanza.

Se questa è la “sinistra”, si può ben capire come sia la destra, più impresentabile che mai, ad avere delle chances di successo in un contesto sociale, culturale e politico sempre più degradato. Lo squallore profondo della classe politica in tutte le sue componenti si riflette del resto nella miseria dei candidati presidenti. Se eccettuiamo donne brave e più che dignitose come Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Lorenza Carlassarre (e una presidente donna ci vorrebbe, in un Paese ammalato di maschilismo e patriarcato come il nostro, ma non una donna qualsiasi, ovviamente) la lista dei nomi mette davvero spavento.

A cominciare da Silvio Berlusconi che, dato il degrado generale e i suoi moltissimi soldi, ha incredibilmente delle chances e la cui elezione significherebbe per l’Italia un nuovo ulteriore tremendo arretramento. Per finire con Mario Draghi, figura che incarna, volente o nolente, quel sistema di dominio della finanza cui sono connaturati i problemi che stiamo vivendo in Italia e nel mondo, e che ha sostanzialmente fallito molti degli obiettivi che gli erano stati prefissati. E la cui elezione, su questo ha ragione D’Alema, delineerebbe un nuovo passo verso il presidenzialismo de facto che non può certo costituire una soluzione per i nostri problemi.

Che fare quindi? Innanzitutto, direi, dobbiamo renderci del fatto che, più che occuparci di chi sarà presidente, comunque eletto dall’attuale screditata classe politica che ha come protagonista principale preoccupazione il proprio destino individuale, abbiamo bisogno di ritrovare un popolo, oggi disperso sotto i colpi della crisi, della disoccupazione, della povertà e delle pandemie. E di costruire un partito e uno schieramento politico, oggi drammaticamente assenti, che sappiano rappresentarlo e dirigerlo in modo adeguato. Arduo programma, ma l’unico da attuare. Hic Rhodus, hic salta!

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