La sensazione di assedio che lo spettatore medio di film e serie tv prova negli ultimi anni è duplice: da una parte c’è quella del virus che lo/la costringe a passare gran parte del suo tempo libero in casa, probabilmente davanti alla televisione, e dall’altra c’è quella che avviene all’interno delle quattro mura e anzi direttamente dallo schermo: i continui remake e reboot di prodotti d’intrattenimento che hanno conquistato la ribalta almeno un paio di decadi prima.

Quello che più colpisce è che queste operazioni sono sempre sostenute da un hype e da un furor di popolo che in qualche modo sembra auspicarli, per poi puntualmente lamentarsene. Si avverte una totale discrasia tra la nostalgia del grande pubblico e il risultato dei rifacimenti. È un loop dal quale non si vede via d’uscita. Matrix Resurrections di Lana Wachowski è una pellicola figlia di questo stesso assedio, ma ha il merito di prendere di petto la natura del proprio essere. “Niente conforta l’ansia quanto un po’ di nostalgia”: è un personaggio del film stesso a dirlo, tanto che per gran parte della pellicola ti viene il dubbio legittimo di assistere a una meta-parodia che, in qualche modo, oltre a parodiare la trilogia originale sta parodiando anche un po’ la sacralità stessa col quale il grande pubblico l’ha osservata negli ultimi vent’anni.

Intendiamoci, si tratta di un film consapevole della propria eredità culturale che, al netto di tutte le sue imperfezioni, fa esattamente il lavoro che deve fare: intrattiene, cita, aggiorna il proprio mito, rilancia sulla nostalgia. Ma lo fa con un piglio meta-narrativo volutamente autoironico, e per certi versi autocritico.

Tutto, nel film, è parodia dell’originale: Neo/Thomas Anderson è un creatore di videogiochi cinquantenne dissociato dal reale, che vive di rendita dal suo capolavoro di vent’anni prima intitolato “Matrix”, neanche a farlo apposta. Il Morpheus di Yahya Abdul-Mateen fa letteralmente il verso a quello di Lawrence Fishburne, il marito fittizio di Trinity (Carrie-Ann Moss) è interpretato da Chad Stahelski, lo stunt-double di Keanu Reeves nella trilogia originale (nonché regista di John Wick), i mostri robotici tentacolari che erano l’incubo dei film precedenti diventano addirittura pupazzoni innocui e coccolosi, ogni scena di combattimento appare quasi volontariamente più sciatta, scarica, invecchiata.

Gli studios che pretendevano un sequel dai Wachowski vengono a loro volta parodizzati nel board che lavora ai videogiochi con Neo: nell’intercettazione dei gusti del pubblico si fidano solo degli algoritmi (“we need more bullet time”), vogliono meno narrazione e potenzialmente più gattini (sì, ci sono anche quelli). Persino la canzone che chiudeva il primo atto del 1999, Wake Up dei Rage Against The Machine, viene reinterpretata alla fine di questo quarto dai più sincopati Brass Against.

Gli studios che pretendevano un sequel dalle Wachowski vengono a loro volta parodizzati nel board che lavora ai videogiochi con Neo: nell’intercettazione dei gusti del pubblico si fidano solo degli algoritmi, vogliono meno narrazione (“we need more bullet time”) e potenzialmente più gattini (sì, ci sono anche quelli). È questo il nuovo Matrix: una sorta di super-industria dell’intrattenimento dedita all’analisi continua dei propri dati, al fine di confezionare prodotti sempre uguali a se stessi, volti al mantenimento del proprio potere sul pubblico. Il tutto attraverso un ciclo vizioso di hype e aspettative deluse.

Le aspirazioni del film sono ambiziose e forse guardano più lontano del proprio presente cinematografico, perdendo di tanto in tanto compattezza nel rapporto tra drammaturgia e impianto formale. Tuttavia, Resurrections ha il pregio di rimanere fedele ai propri temi originari (la sottigliezza della linea che separa arbitrio e destino, così come quella che separa la realtà dalla finzione). Resurrections è un film furbo, ma onesto, in quanto molto didascalicamente ammette di star facendo tutto ciò di cui lo accusano le critiche dei fan puristi: un film della saga di Matrix che “non sembra affatto un film su Matrix”.

Paradossalmente, Resurrections profetizza e parodizza in anticipo anche la propria lontananza dalle aspettative dei fan, come quando nello showdown finale le persone comuni vanno in modalità ‘kill zone’, attaccando i protagonisti. L’avatar del grande pubblico sullo schermo sembra quasi “programmato” per detestare e opporsi a questa nuova versione di Neo e Trinity, finalmente riuniti dopo vent’anni. Strano, tanto più che si assiste al trionfo definitivo di due personaggi sì fittizi, ma che sulla carta gli affezionati dovrebbero adorare fino quasi a rasentare l’idolatria. È in questo modo che il film riesce a prendere tutti di sorpresa, pur riproponendo tutti i suoi antichi tópoi.

C’era bisogno di un quarto film? Assolutamente no. E’ tuttavia un film godibile? Assolutamente sì. Soprattutto, al netto dei suoi difetti, resta un film intelligente per il modo in cui ribalta la prospettiva di responsabilità rispetto ai remake: che speranze ha una storia già narrata di rimanere fedele a se stessa, schiacciata tra le pressioni aziendali degli studios e le aspettative fuori scala dei fan puristi? Meno di quelle che hanno Neo e Trinity di rincontrarsi in volo sulla loro città virtuale. Entrambi i finali sono inevitabili, e probabilmente va bene così.

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