Ospedali vietati ai cronisti, medici che non possono rilasciare interviste e commentare il tasso di occupazione dei reparti, cifre della pandemia diffuse in maniera poco chiara, senza ripartizione geografica dei casi di contagio, sindaci lasciati all’oscuro della reale situazione epidemiologica dei propri comuni. Nell’Ungheria di Viktor Orban il Covid-19, come ricordato dall’Associated Press, è diventato un argomento da evitare, scomodo e politicizzato. La battaglia vede contrapposti da un lato il governo centrale, che accusa di disfattismo chi vuole vederci chiaro, e dall’altro media, opposizioni e sindacati dei medici che chiedono chiarezza e numeri aggiornati su ricoveri in terapia intensiva, ospedalizzazioni e morti.

L’approccio ha generato sfiducia nella popolazione, minando indirettamente la campagna di vaccinazione, e impedisce il controllo puntuale dei focolai. Un sondaggio d’opinione realizzato dall’istituto Median e incentrato sulla gestione della pandemia da parte del governo ungherese ha indicato che soltanto il 36% degli abitanti ha un’idea, vaga, in merito a quante persone siano state uccise dal Covid.

Il fatto che molti siano all’oscuro di quanto accaduto è legato alle modalità di svolgimento delle conferenze stampa informative svoltesi negli scorsi mesi. In queste occasioni le autorità sanitarie e le forze di polizia ripercorrevano in maniera didascalica le azioni intraprese per punire chi violava le norme di contenimento ed esaltavano le notizie positive, infarcendole di rassicurazioni, nel tentativo di dare l’impressione di un ritorno alla normalità. Una vera e propria distorsione della realtà. Il sito Coronalevel segnala che l’incidenza settimanale dei nuovi casi di Covid è pari a 196 infezioni ogni 100mila abitanti. Il parametro è in costante miglioramento sin dall’inizio di dicembre e ciò sembra indicare che la temuta variante Omicron, molto più contagiosa delle precedenti, non ha ancora preso piede. Il tasso di positività dei tamponi giornalieri è alto e il 23 dicembre ha toccato quota 17,3%. La riduzione c’è stata, dato che si partiva dal 25,3% del 2 dicembre. Il tasso di vaccinazione desta preoccupazione: solo il 64% della popolazione ha ricevuto almeno una dose.

Fidesz, il partito del primo ministro Orbán, è al potere da undici anni ed ha consolidato il controllo su tutte le istituzioni indipendenti del Paese grazie al passaggio di provvedimenti legislativi e costituzionali. L’organizzazione non governativa americana Freedom House, che ogni anno stila un rapporto dettagliato sul rispetto dei diritti civili e politici in ogni Nazione del mondo, ritiene che la situazione sia ormai compromessa e che l’Ungheria sia solo parzialmente libera. La Costituzione protegge, formalmente, la libertà di stampa ed esistono mezzi di comunicazione privati allineati all’opposizione. La stragrande maggioranza, però, è schierata su posizioni filo-governative e molto attiva nel criticare i nemici di Viktor Orban.

L’Ungheria è stata inoltre una delle uniche due nazioni dell’Unione europea ad acquistare vaccini non occidentali, nello specifico il cinese Sinopharm ed il russo Sputnik V, e l’unico Paese a ritirarsi, a maggio, dall’accordo di acquisto collettivo dei sieri concordato in sede comunitaria. La linea autarchica tracciata da Budapest è stata, però, così netta da ritorcerglisi contro. L’Ungheria si è poi accorta di aver fatto male i propri calcoli, di non aver accumulato sufficienti scorte di vaccini ed è stata così costretta a un’imbarazzante marcia indietro e al rientro nell’accordo collettivo.

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