Manca l’ufficialità, l’interessato non ha sciolto la riserva, il suo staff mantiene il riserbo. Al momento non ci sono certezze sulla candidatura dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte al collegio uninominale di Roma 1 lasciato vacante da Roberto Gualtieri, dopo l’elezione a sindaco di Roma. Le suppletive sono in programma il 16 gennaio, qualche giorno prima l’inizio delle votazioni per il presidente della Repubblica in Parlamento. La proposta al leader M5s è arrivata dal Pd e i motivi sono tanti: uno tra gli altri quello che Conte sarebbe in Aula in un momento delicato come l’elezione del capo dello Stato, garanzia per il confronto tra leader e all’interno del gruppo M5s sempre sottoposto a forti venti. A volere la candidatura è stato tra gli altri il segretario del Pd Enrico Letta, che come noto è deputato eletto al collegio di Siena un paio di mesi fa e peraltro proprio sostenuto da un’alleanza che andava da Renzi al M5s. Ma l’ex premier appare guardingo. Fonti a lui vicine hanno riportato le sue “perplessità“, le stesse che già in passato lo hanno indotto a rifiutare la candidatura ad un collegio suppletivo. E quindi nonostante “siano in tanti a chiedergli di candidarsi”, ad ora “è più no che sì” viene detto. Si scoprirà forse di più delle intenzioni di Conte alla conferenza stampa annunciata per il tardo pomeriggio che ha come tema i direttivi dei gruppi parlamentari. Perché tanta prudenza? C’è anche una questione concreta: il collegio di Roma 1 – che nel 2018 fu vinto da Paolo Gentiloni e nel 2020 da Gualtieri – non è affatto sicuro per un esponente M5s sia pure sostenuto dal Pd. O meglio: qui alle Comunali Carlo Calenda ha fatto abbastanza il pieno (circa il 30 per cento, cioè quasi il doppio della media finale dei voti).

Sono bastati comunque i retroscena dei giornali sulla candidatura di Conte per andare fuori giri lo stesso Calenda e Matteo Renzi che sono subito andati all’assalto del Pd parlando di “subalternità” e “sottomissione“. Anzi, dopo alcune ore è proprio il leader di Azione ad annunciare – attraverso l’Huffington Post – che se davvero sarà Conte il candidato dell’alleanza giallorossa, allora a sfidarlo sarà lui, Calenda, che – com’è noto – è eurodeputato in carica dal 2019 eletto nelle liste del Pd ed è anche consigliere comunale da ottobre, dopo essersi candidato a sindaco (invano). “I 5 stelle hanno devastato Roma, paralizzandola per cinque anni e mortificandola in tutti i modi. Non esiste, ma proprio non esiste, cedergli un collegio dove hanno fatto uno scempio. Basta 5s”. In precedenza aveva denunciato “l’incredibile livello di sottomissione del Pd al Movimento Cinquestelle. Non esiste alcun Ulivo 2.0 ma semplicemente un patto di potere tra due classi dirigenti prive di coraggio, spinta ideale e coerenza. Contrasteremo questa scelta”.

Parole simili a quelle dell’alleato-non alleato (non si è ancora capito bene) Matteo Renzi, capo di Italia Viva: “Il Pd può fare quello che crede, ma regalare il seggio sicuro (a quel punto forse non più sicuro?) al premier del sovranismo, all’uomo che ha firmato i Decreti Salvini, all’avvocato che non vedeva differenza tra giustizialismo e garantismo significherebbe subalternità totale. È un seggio parlamentare, non è un banco a rotelle! Se davvero sarà Conte il candidato del Pd, ci attende una bellissima campagna elettorale nel collegio di Roma Centro”. Il problema è che nemmeno il rapporto tra Italia Viva e Azione ha contorni ben definitivi. Dopo la candidatura di Calenda, infatti, sibilino è spuntato un tweet di Ivan Scalfarotto, ex sottosegretario di Italia Viva e dirigente renziano, che ha lanciato la “mozione Bentivogli“, nel senso di Marco Bentivogli, ex segretario della Fim Cisl e leader dell’associazione Base.

Letta al momento non ha proferito parola. Il suo predecessore, Nicola Zingaretti, fautore insieme a Goffredo Bettini del patto con Conte, ieri ha sottolineato che è “un’opportunità da valutare”. “Noi dobbiamo costruire un’alleanza che si prepara alle elezioni per vincere le elezioni. Chi vuole costruire un’alleanza pensa all’Italia e al suo benessere, chi la piccona pensa, illudendosi, solo a se stesso e a ‘lucrare’ punti di posizione per poi magari trattare” sui “collegi. E questo non vuol dire rinunciare all’identità”.

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