Nella vita nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. La massima cara a Lavoisier si adatta bene al secondo film del romanissimo Gabriele Mainetti, Freaks Out, arrivato in questi giorni nelle sale.

Un’infanzia, quella del regista, evidentemente impregnata di graphic novel – come si dice ora, ai miei tempi si parlava semplicemente di fumetti – che lo ha indotto alla creazione di questa divertente storia circense che potrebbe tranquillamente essere uscita dalla matita di Stan Lee, piena com’è di supereroi e iperboli.

Ebbene questo film assolutamente riuscito, piacevole e spettacolare sotto tutti i punti di vista almeno quanto lo fu il primo film, Lo chiamavano Jeeg Robot, ci dice incidentalmente alcune cose del nostro Paese:

1) I giovani creativi attuali se ne fregano delle vecchie cariatidi. Il neorealismo è un bellissimo pezzo da museo che non interessa più a nessuno;

2) I ‘mostri sacri’ del nostro cinema erano tecnicamente (e spesso anche semanticamente) delle pippe al sugo, paragonati alle nuove generazioni che padroneggiano effetti speciali e trame come una lingua madre;

3) Il modello cinematografico-spettacolare statunitense è divenuto preponderante anche nel nostro Paese visto che produciamo talenti come Paolo Sorrentino, Mario Martone e appunto Mainetti (ma molti altri sarebbero citabili). Episodi come il recente La tana di Beatrice Baldacci, film intimista e ‘vecchia maniera’, sono gradevoli eccezioni da festival;

4) Ormai per fare un film di successo che abbia caratteristiche ‘cinematografiche’, ossia abbia un senso guardarlo sul grande schermo – che induca, insomma, a mollare il divano per affrontare traffico e vicinanza di un estraneo in poltrona – bisogna rivolgersi alle saghe di supereroi, oppure rivisitare molto liberamente episodi storici in chiave epica e rassicurante. Quentin Tarantino ha fatto scuola ed era anche lui un emulo di Sergio Leone e di Sergio Corbucci (ricordate? Nulla si crea…).

A parte il cinema, Freaks Out ci dice qualcosa anche della nostra società? In molti lo stanno celebrando come un inno alla diversità e all’accettazione del diverso. In realtà, qualunque fumetto lo fa, se pensiamo che Devil è cieco, i Fantastici 4 sono mutanti, Thor è un dio, Superman un alieno, Batman è mascherato. In questo senso il film di Mainetti non dice niente di nuovo, ma probabilmente non era neanche questo il suo intento. Quello di un film come Freaks Out, o come Django Unchained, o come Inglourious Basterds o ancora come Indiana Jones, è più verosimilmente quello di ingenerare nel pubblico la soddisfazione psicologica della rivalsa nei confronti di tutti i bastardi reali che infestano il nostro mondo, non nel passato ma, soprattutto, nel presente.

Una necessità catartica che già i tragici greci avevano ben compreso in una società molto più aristocratica della nostra. Uscendo dal cinema dopo film come questi ci si sente sollevati: il bene ha trionfato, i malvagi sono stati ferocemente puniti e si può andare a cena felici. Almeno per quella serata, perché il giorno dopo i prepotenti del mondo saranno di nuovo là, ad approfittarsi di noi, in modi che neanche riusciamo più ad immaginare.

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