di Massimo Arcangeli

Mi ero ripromesso di ritornare sul tema degli acrostici di Dante, ed eccomi qui. L’uom di Purg. XII, 25-58 avrebbe aperto la strada al lue di Par. XIX, 115-139, ai poco convincenti josep di Par. XXXIII, 19-131 e dio di Purg. X, 67-75, all’improbabilissimo nati del primo dell’Inferno (vv. 1-12).

Interessanti sono invece un paio di acrostici inversi (ecate e pesce) portati ultimamente alla luce:

Già m’avean trasportato i lenti passi,
dentro a la selva antica tanto,
ch’io non potea rivedere ond’io mi ’ntrassi;
ed ecco più andar mi tolse un rio
che ’nver’ sinistra, con sue picciole onde,
piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.
Tutte l’acque che son di qua più monde
parrieno avere in sé mistura alcuna,
verso di quella, che nulla nasconde,
avvegna che si mova bruna bruna
sotto l’ombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna.
Coi piè ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion d’i freschi mai;
e là m’apparve, sì com’elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare,
una donna soletta che si gìa
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via.
Purg. XXVIII, 22-42

E se la stella si cambiò e rise,
qual mi fec’io che pur da mia natura
trasmutabile son per tutte guise!
Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura,
sì vid’io ben più di mille splendori
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udìa:
«Ecco chi crescerà li nostri amori».
E sì come ciascuno a noi venìa,
vedeasi l’ombra piena di letizia
nel folgór chiaro che di lei uscìa.
Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
non procedesse, come tu avresti
di più savere angosciosa carizia.
Par. V, 97-111

Un terzo acrostico inverso s’intercetterebbe secondo il suo scopritore, Antonio Soro, lo stesso dei due appena segnalati, in un altro passo del capolavoro dantesco (stavolta ipotesi e ragionamento non reggono però alla prova dei fatti):

Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
Purg. XIII, 109-111

Il nome dell’invidiosa gentildonna senese Sapia, zia di Provenzal Salvani (cfr. Purg. XI, 109 sgg.), partecipa di un calembour: la donna non fu savia, sebbene (avvegna che) si chiamasse Sapia, e a rallegrarla erano più le sventure altrui che la sua fortuna (ventura). Per Soro questa terzina sarebbe parte di un gruppo di altre terzine che comporrebbero un acrostico inverso. La sequenza è però “disturbata”, per ben due volte (ptreesistqo), e a nulla valgono gli argomenti a favore portati dallo studioso, che suonano a dir poco forzati.

«O frate mio, ciascuna è cittadina
d’una vera città; ma tu vuo’ dire
che vivesse in Italia peregrina».
Questo mi parve per risposta udire
più innanzi alquanto che là dov’io stava,
ond’io mi feci ancor più là sentire.
Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava
in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’
lo mento a guisa d’orbo in su levava.
«Spirto», diss’io, «che per salir ti dome,
se tu se’ quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome».
«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
E perché tu non creda ch’io t’inganni
odi s’i’ fui, com’io ti dico, folle
già discendendo l’arco d’i miei anni.
Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co’ loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto ch’io volsi in su l’ardita faccia
gridando a Dio: «Omai più non ti temo!»,
come fé ’l merlo per poca bonaccia.
Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
mio dover, per penitenza, scemo
se ciò non fosse ch’a memoria m’ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.

Qui l’acrostico, anche per il contenuto semantico della parola imperfettamente restituita, è da ritenersi preterintenzionale.

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