C’è Massimo Mallegni, vicecapogruppo di Forza Italia alla Camera, che “mandò un’offerta per mascherine KFN4 con consegna in Corea al prezzo di 0,80 euro cadauno (…) per poi, non essendo stato sottoscritto il contratto, diventare ospite fisso di trasmissioni televisive”. Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia (ai tempi in FI): una volta “non ottenuti i contratti, inizia una schiera di interrogazioni parlamentari”. Ancora, l’ex presidente della Camera Irene Pivetti e Mattia Mor, deputato di Italia viva, che “ha presentato l’offerta di due signori cinesi per mascherine chirurgiche al prezzo unitario di 55 centesimi, con consegna in Cina escluso il prezzo del trasporto”. Sono alcuni tra i nomi tirati fuori dall’ex commissario Domenico Arcuri durante l’interrogatorio di sabato di fronte ai pm di Roma Gennaro Varone e Fabrizio Tucci e contenuti nei verbali riportati da Domani, Repubblica e Corriere della Sera. Arcuri è indagato per peculato e abuso d’ufficio nell’inchiesta sulla fornitura di 801 milioni di mascherine, acquistate per 1,25 miliardi di euro da tre aziende cinesi tra marzo e aprile 2020 grazie alla mediazione di un consorzio – retribuito con una provvigione da 12 milioni – guidato da Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa.

Alla domanda sul perché abbia scelto proprio l’offerta di Benotti, l’ad di Invitalia spiega che era la più vantaggiosa tra tutte quelle arrivate alla sua struttura in quei giorni convulsi, in cui, ricorda, “tutti i Paesi del mondo cercavano i Dpi: era in atto una guerra commerciale devastante”. E fa “alcuni esempi” di politici che in quelle settimane si erano offerti come “procacciatori” di dispositivi d’emergenza. Ci sono, appunto, Mallegni, Mor e Malan: quest’ultimo che aveva offerto “mascherine lavabili” giudicate nemmeno valutabili dal Comitato tecnico-scientifico. Ma anche Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia, che “il 22 e il 27 marzo è in copia all’offerta di tale Pietrella per mascherine chirurgiche al prezzo unitario di 85 centesimi, con richiesta di anticipo del 50% e costo del trasporto a carico del governo italiano”. E non si erano offerti solo politici: il caso che Arcuri definisce “il più drammatico” è quello dell’imprenditore Filippo Moroni, che per un certo periodo criticava tutti i giorni l’ex commissario in tv per non aver accettato le sue “sette diverse offerte tramite società lussemburghese con consegna a Hong Kong e pagamento anticipato del 100%”.

“Tutte queste proposte – si difende Arcuri – sono risultate largamente meno vantaggiose di quella di Benotti”. E dice di essere all’oscuro del fatto che il giornalista e i suoi sodali – la compagna Daniela Guarnieri, l’imprenditore Andrea Tommasi, il banchiere Daniele Guidi e il trader Jorge Solis – si fossero spartiti una “cresta” di 12 milioni di euro per la mediazione: “L’importo noto mi lascia basito forse più di voi”. Secondo i pm, invece, quella ulteriore retribuzione è stata calcolata da Arcuri nel costo totale della fornitura: da qui l’ipotesi di peculato, mentre quella di abuso d’ufficio, spiega il Corriere, è per non aver ingaggiato i mediatori con regolare contratto. “Per me erano dei promotori o procacciatori d’affari che operavano nell’interesse delle aziende esportatrici”, si giustifica lui. “Non avevo necessità di mediatori. Avevo fatto divieto di sottoscrivere contratti con soggetti diversi dalle aziende. E non si pagano acconti a nessuno, neppure sotto tortura”.

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