di Raffaele Garbellano

La divergenza esplicita delle due anime della Lega a cui stiamo assistendo in questi giorni non ci deve sorprendere. O meglio: non ci deve sorprendere il fatto che le due anime coesistano. È così da sempre nella Lega post Bossi-Maroni. Le due componenti coesistono perché hanno bisogno l’una dell’altra.

La prima, l’anima liberista e votata alla deregulation, rappresenta da sempre il popolo dei piccoli e medi imprenditori, soprattutto nel Nord Est. Pragmatica e spesso vicina all’establishment. È la corrente rappresentata oggi da Giancarlo Giorgetti. Essa vivrebbe di luce propria ma non sarebbe sufficiente al consenso socialmente trasversale e su estensione nazionale. Quindi ha bisogno dell’altra anima: quella identitaria e popolare che si è progressivamente “evoluta” in senso sovranista, nazionalista, esterofobica.

Questo secondo complesso ideologico ha permesso alla Lega di crescere dal 4% al 30% in pochi anni. Tuttavia, la crescita non sarebbe potuta avvenire senza la prima componente, quella liberista. È proprio questa componente, più vicina al potere economico, che ha permesso a Matteo Salvini di poter fare la scalata vertiginosa. Le istanze anti-euro, nazionaliste e spesso razziste non sarebbero state tollerate dall’opinione pubblica senza la tolleranza dell’establishment, e quindi la stampa probabilmente non avrebbe loro dato rilievo. È come se il favore di gruppi di potere economico verso l’anima liberista della Lega rendesse tollerabili le uscite sopra le righe di Salvini. Non a caso l’ascesa di quest’ultimo è avvenuta nel periodo renziano. Quasi fosse l’antagonista perfetto, ma comunque tollerabile, all’uomo dell’establishment per eccellenza. I due Matteo, appunto.

La stessa sorte favorevole non è toccata per esempio a movimenti di estrema destra, come Casa Pound e Forza Nuova. Questi negli stessi anni hanno sostenuto istanze molto simili, ma non hanno goduto dello stesso megafono mediatico e sono rimaste relegate al limbo extra parlamentare e minoritario.

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