Delle 58 opere infrastrutturali commissariate dal governo Draghi per accelerarne la realizzazione e garantire il rilancio socio-economico del Paese, solo tre riguardano i nostri porti e la più costosa è la Darsena Europa di Livorno, coi suoi 860 milioni di euro stimati. Dietro il nome Darsena Europa si cela un complesso di opere necessarie al porto toscano per accogliere e gestire le New Panamax, navi portacontainer in grado di trasportare un carico equivalente a quello di 8mila camion (in gergo tecnico: 15 mila teu), ad oggi precluse allo scalo toscano per i suoi fondali troppo bassi e una carenza di spazi in superficie. Se ne parla da metà anni Novanta, ma solo nel 2015 la Darsena Europa ha avuto la legittimazione di progetto con l’approvazione del nuovo Piano Regolatore Portuale livornese. Da allora però nessuna pietra è stata ancora posata. Complice il fatto che nessuna impresa privata si è candidata per investire i 300 milioni necessari a realizzare l’unico motore economico dell’opera, ovvero il terminal contenitori da oltre 50 ettari destinato a movimentare i container delle New Panamax e capace di generare – secondo l’Istituto di Programmazione Economica Toscana (IRPET) – fino a 1.000 posti di lavoro. La parte pubblica ha così deciso di ridimensionare l’opera – da 1,3 miliardi a 860 milioni appunto – e di andare avanti da sola, senza aspettare il privato, rischiando l’incompiuta.

Il Dpcm Draghi ha affidato i poteri commissariali per procedere in tal senso a Luciano Guerrieri, presidente da pochi mesi dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, istituzione che da sei anni tarda a realizzarla. L’Autorità ha in dote 560 milioni di fondi pubblici tenuti fermi per lo scopo, di cui solo 60 sono propri. Il mezzo miliardo rimanente proviene infatti per metà dalla Regione Toscana – prima a credere fermamente nell’infrastruttura – e per l’altra metà da fondi statali (MIT e CIPE), 200 milioni dei quali scadranno se entro febbraio 2022 l’Autorità di Sistema Portuale non avrà siglato il contratto con chi realizzerà le opere in carico al pubblico: dragaggio di 15 milioni di metri cubi di fondali per scendere alle quote necessarie (-16 metri), con collocazione dei sedimenti in un’area di oltre 70 ettari creata ad hoc e la costruzione di quattro nuove maxi dighe di difesa con demolizione di una esistente.

Se poi arriverà il privato, sarà edificato il terminal container sopra le attuali discariche a mare di passati dragaggi (chiamate “vasche di colmata”), altrimenti – carte di gara alla mano – Darsena Europa potrebbe restare un grande canale a mare e un buco nell’acqua di 600 metri di diametro col pescaggio giusto per far arrivare e girare le navi portacontainer giganti, senza però uno spazio dove far loro scaricare i contenitori. L’Autorità di Sistema Portuale ha deciso di rischiare, evitando un nuovo bando di concessione di costruzione e gestione cinquantennale del Terminal Contenitori: “La procedura scelta non prevede la pubblicazione di una manifestazione di interesse – dice a Ilfattoquotidiano.it il presidente e commissario Guerrieri – ma ci rivolgeremo direttamente al mercato sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica”.

Nel frattempo il conto per le opere pagate con fondi pubblici è salito. Se i documenti di gara per la progettazione parlavano di 226 milioni e il Piano triennale per le opere pubbliche dell’Autorità lo portava a 375 milioni, il commissario Guerrieri segnala a Ilfattoquotidiano.it un tetto più alto: “A metà settembre pubblicheremo la gara sul progetto definitivo (per quel che riguarda le opere di difesa) e preliminare (per quel che concerne i dragaggi), prevedendo di aggiudicare i progetti esecutivi e le lavorazioni in autunno, per un totale di 450-490 milioni di euro”. In tempo per non far scadere i 200 milioni assicurati da un decreto del Mit dello scorso anno.

Un ostacolo sul cammino accelerato del commissario, però, c’è: la riperimetrazione del Sito di Interesse Nazionale (SIN) al centro di una bonifica mai iniziata, stando al monitoraggio dell’ex Ministero dell’Ambiente. L’Autorità di Sistema vorrebbe infatti escludere dal SIN lo specchio d’acqua oggetto della Darsena Europa per evitare complicazioni sui sedimenti dragati, ma cinque mesi fa, per la prima volta dal 2003, un cesto di cozze usato per monitorare l’inquinamento ha indicato livelli di benzopirene superiori al consentito e l’iter si è bloccato su input dell’Istituto Superiore di Sanità. “La procedura, di competenza del ministero della Transizione Ecologica, è in dirittura di arrivo”, segnala tuttavia il commissario Guerrieri, con ottimismo. Del resto per l’Autorità di Sistema Portuale, come ebbe modo di chiarire il dirigente responsabile del progetto Darsena Europa in una commissione del Comune di Livorno del giugno scorso, “non siamo nel SIN perché c’erano evidenti prove di inquinamento, ma perché avevamo dietro un porto e si presumeva ci potessero essere delle fonti inquinanti”. Si sa saprà presto se all’ex ministero dell’Ambiente la pensano allo stesso modo.

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