A prima vista sembrerebbe trattarsi solo dell’ennesima gaffe di un sottosegretario leghista che ne ha già commesse altre, e di una problematica abbastanza particolare afferente a un territorio specifico e alla sua storia, immortalata dal grande Antonio Pennacchi. Eppure, la proposta di Claudio Durigon di tornare alla denominazione tradizionale di un giardino pubblico di Latina, intitolato oggi ai due eroi nazionali della lotta alla mafia, merita probabilmente una riflessione più attenta.

Innanzitutto per la sua forte portata emblematica. Il nome che Durigon vorrebbe infatti resuscitare è quello di Arnaldo Mussolini, fratello del più noto Benito, fondatore e uomo-simbolo del fascismo italiano e internazionale e artefice per il nostro Paese di innumerevoli sciagure e catastrofi. Sicuramente Mussolini junior era una figura minore, di cui le biografie ufficiali tendono a sottolineare la mitezza in contrasto cogli eccessi dell’istrionico e carismatico fratello, nonché il cattolicesimo che gli avrebbe permesso di svolgere un certo ruolo nella stipulazione dei Patti Lateranensi.

Vi sono però anche aspetti oscuri e inquietanti, come la tangente pagata in Gran Bretagna le cui prove si sarebbero trovate nella borsa di Matteotti nel momento del suo assassinio. Questo elemento lo rende a ben vedere più empatico alla destra (e non solo, beninteso, alla destra) attuale ed enfatizza ancora di più la contrapposizione simbolica coi due magistrati assassinati, tanto più in un contesto territoriale nel quale, come del resto in molti altri, tra criminalità mafiosa e certa politica esistono varie commistioni e complicità.

L’elemento dirimente è tuttavia quel cognome e quella appartenenza familiare e politica. Ed è dirimente in un Paese nel quale gli anticorpi antifascisti si stanno pericolosamente assottigliando da tempo. Le difese immunitarie della democrazia risentono in modo estremamente negativo del diluvio neoliberista che da tempo ha devastato i suoi sistemi sanitari, educativi e di solidarietà sociale, come drammaticamente scoperchiato dalla pandemia Covid, senza peraltro nessun serio tentativo di cambiare rotta nonostante il fatto che i disastri siano oramai sotto gli occhi di tutti. Esse risentono altresì del ruolo sempre più marginale di lavoratrici e lavoratori, decimati da licenziamenti e massacrati da omicidi sul lavoro, mentre inqualificabili personaggi che non hanno mai lavorato in vita loro pontificano senza vergogna sulle virtù terapeutiche della sofferenza e della fatica e i nuovi parvenu sfoggiano sui social la loro riccanza, consentita da una società sempre più ingiusta e diseguale.

È in un contesto che assomiglia sempre più a quello di una giungla dove si fanno strada borghesi piccoli piccoli, pronti a pestare e uccidere i diversi per dare sfogo alle loro insicurezze e frustrazioni, come ha fatto l’assessore di Voghera che ha ucciso a sangue freddo un marocchino disarmato e che sta facendo sciaguratamente scuola, come dimostra l’episodio del tunisino accoltellato ieri. I fascisti del terzo millennio, fortemente intrisi di razzismo, hanno paura di tutti, dall’espressione legittima delle diversità sessuali al carattere sempre più multietnico dell’Italia, ben evidenziato dall’identità di vari campioni e campionesse olimpiche, alla giusta volontà di settori crescenti di proletariato di tornare a lottare duramente per i propri diritti. All’occasione si fanno paladini delle inquietudini dei no vax e di altri decerebrati, fornendo risposte devianti a giuste esigenze di trasparenza e di lotta a Big Pharma.

Crisi di identità di un ampio ceto medio oggi insidiato dalla crisi multidimensionale che stiamo vivendo, che è stata accelerata da pandemia e riscaldamento globale, esiziali fenomeni globali di cui siamo solo agli inizi e che l’attuale classe dirigente, mondiale, europea e nazionale, non riesce a risolvere, data la natura angusta, autoreferenziale e in ultima analisi suicida della sua visione di classe, attenta esclusivamente alle sorti dell’accumulazione capitalistica. È questo, oggi come un secolo fa, il terreno di coltura del fascismo, le cui pulsioni di morte sembrano oggi vieppiù esaltate dal carattere catastrofico di determinati fenomeni che stanno colpendo tutta l’umanità e il pianeta intero. E scusatemi se non mi sento per nulla garantito né da Letta, né da Conte né tantomeno da Draghi, che a oggi non ha del resto detto nulla sulla boutade densa di significato del suo sottosegretario Durigon.

Per fermare la deriva antidemocratica ci vuole ben altro che la malferma classe politica del centrosinistra, insidiata dalla quinta colonna renziana, o il governo dei sedicenti migliori. Ci vuole invece la ripresa in grande stile del disegno costituzionale e la piena realizzazione dei diritti del lavoro su cui si basa la Repubblica. E ovviamente un partito e un sindacato che se ne facciano carico in modo coerente, organizzato e militante.

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