di Gianluca Pinto

Sarà un caso, sarà una coincidenza, sarà nulla ma, subito dopo le votazioni online del Movimento 5 Stelle che hanno dato formalmente ruolo a Giuseppe Conte, Mario Draghi ha trovato l’occasione per dire che condivide “in pieno il concetto alla base” del Reddito di Cittadinanza (fornendo un dato politico sul “peso” della figura di Conte). Resta da capire a quale concetto di base il Premier faccia riferimento. Il RdC, chiaramente, non è uno strumento della tradizione della “lotta di classe” o di una “sinistra” che si possa definire tale.

La parola “lavoro” presente nell’art.1 della Costituzione riporta il pensiero anche ai “luoghi” di lavoro in cui, tramite il contatto continuo tra coloro che sono nella medesima situazione, nascono le condizioni di coscienza e, quindi, di emancipazione sociale. Il Reddito di Cittadinanza osservato sotto questo aspetto è un provvedimento che scardina la possibilità di incontro di chi è nelle medesime condizioni e agisce in senso contrario all’emancipazione, favorendo l’individualismo a scapito della visione collettiva. Naturalmente, oggi, il RdC non può creare grossi danni dato che la disarticolazione dei “luoghi” di lavoro, anche grazie a un “laissez faire” dei Sindacati, è già in atto da molto.

Il RdC è inoltre un favore al capitale perché, con risorse pubbliche, si pongono le condizioni in favore del consumo. Perfino il primo esperimento inglese di fine ‘700 fu un sussidio “agganciato” al prezzo del grano: questo per chiarire come il riferimento fosse comunque, come oggi, dentro una logica di mercato/consumo/profitto. Sono questi i concetti “alla base” cui si riferisce Mario Draghi?

In realtà il RdC, al di là del fatto dimostrato di essere uno strumento concreto contro la povertà (di cui si è parlato abbondantemente, soprattutto in tempi di pandemia) in Italia ha un suo peso specifico ben preciso (ed è il motivo per cui personalmente lo ritengo essenziale), che va riferito, in particolare, all’innata ingordigia propria del capitalismo italiano (quello Dop nostrano). Il RdC diviene, per assurdo, un problema per il capitalismo italiano che è sempre stato caratterizzato da una certa insaziabilità e da una chiara propensione all’uso smodato di risorse collettive (è storia che i nostri sistemi di imprese e industriale si siano spesso lasciati andare alla voracità di fronte alla possibilità di trangugiare ricchezza pubblica, ossia della collettività tutta) non sempre controbilanciate da un’adeguata fedeltà fiscale.

L’ulteriore pasto che i “padroni” italiani stanno ineducatamente consumando senza saper stare a tavola è nell’ambito del valore del lavoro: oggi il bisogno alimentare è quello di sfruttare i lavoratori per un tozzo di pane usando l’arma del ricatto: “o così o muori di fame e di stenti”. Il RdC, purtroppo per costoro, in qualche modo pone all’evidenza pubblica il tema del lavoro sottopagato. Questo è avvenuto soprattutto grazie alle controproducenti e improvvide dichiarazioni dei rappresentanti della classe padronale stessa sulla “mancanza di forza lavoro a causa della presenza del RdC”. Queste allucinanti dichiarazioni, che presentano il tema della sopravvivenza come “folli pretese dei lavoratori”, sono un prosieguo morale, etico e materiale del famoso “choosy” (“schizzinosi” detto con una parola esteticamente migliore in una lingua che vorrei non morisse totalmente) pronunciato anni fa da colei che attualmente è una consulente del famoso governo dei migliori; quel “Governo di competenti”, per intenderci, il cui Presidente non segue gli esperti perché se no non riuscirebbe a fare nulla.

Ecco il vero motivo per cui il RdC in Italia è necessario: per creare un piccolissimo ostacolo (un granellino di sabbia nell’ingranaggio) all’ulteriore ingrasso dei pochi che non ne hanno bisogno a fronte dell’ulteriore dimagrimento dei molti che sono in difficoltà. Mi assale, tuttavia, qualche dubbio nel pensare che Mario Draghi, nella sua dichiarazione, si riferisse a questo specifico “concetto alla base”.

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