Il virus si è fermato alle porte del villaggio“. Questa frase circolava in Cina nella primavera del 2020, quando nel grande Paese la prima ondata di coronavirus sembrava ormai sotto controllo. Il Covid era rimasto un fenomeno soprattutto urbano, le misure di contenimento messe in atto da migliaia di comitati di villaggio avevano fatto da barriera al contagio: in senso letterale, visto che fin dai primi giorni dell’epidemia erano circolate in rete le immagini di barricate che ricordavano la Comune di Parigi. Solo che il contesto non era urbano, e i volti dietro all’ammasso di assi, sedie, tavoli, talvolta macchine agricole messe di traverso su strade e viottoli – dove qualcuno si faceva ritrarre impugnando fiero un forcone o un badile – erano i volti della Cina contadina. Di lì, eventuali forestieri – e il virus con loro – non sarebbero passati. Certo, un aiuto naturale era arrivato anche dall’isolamento geografico di molti villaggi, dalle strade dissestate, dalle infrastrutture talvolta ancora arretrate. Ma era stata l’organizzazione di base delle comunità contadine a fare il grosso del lavoro.

La variante Delta invade le campagne – Oggi, un articolo di Nature ci riporta con i piedi per terra. La nuova variante Delta, con la sua viralità accelerata, sta penetrando proprio nell’Asia rurale, là dove la precedente ondata non era riuscita ad arrivare. Una ricerca proveniente dall’India – dove il ceppo sembra avere avuto origine – suggerisce infatti che nellla brutale seconda ondata che ha afflitto il paese all’inizio di quest’anno, il virus abbia raggiunto una diffusione molto maggiore rispetto alla prima, ben oltre le aree urbane. La ricerca ha trovato anticorpi del Covid in un numero pressoché analogo di indiani nelle aree di città e di campagna, il che suscita allarme in tutta l’Asia e mette sotto ulteriore pressione i sistemi sanitari. Certo, parlando di “Asia” parliamo di società diverse, con forme politiche, economie e strutture sociali anche lontane tra loro, ma una certezza si fa strada: la contagiosità accentuata della variante Delta pone problemi inediti. Vediamo dunque qual è la situazione a oggi.

Morti sottostimati in India, picco di casi in Bangladesh – In India i numeri delle vittime sarebbero, secondo la ricerca ripresa da Nature, di gran lunga superiori a quelli ufficiali. Gli studi sugli eccessi di mortalità suggeriscono che fino a 4,9 milioni di persone potrebbero essere morte dall’inizio della pandemia, contro un bilancio ufficiale di 425mila. Ancora più significativo, forse, è che secondo i ricercatori, metà di questi decessi si è probabilmente verificata in soli tre mesi durante la seconda ondata: e non sono stati segnalati perché provenienti proprio dall’India rurale, dove non solo i servizi sanitari scarseggiano, ma anche l’informazione arriva in modo più scostante. Nel vicino Bangladesh – dove il primo manifestarsi della Delta è stato identificato in viaggiatori provenienti dall’India – il numero di casi ha raggiunto una media di circa 14mila al giorno, con i decessi quotidiani che hanno toccato un picco di 230. Senjuti Saha, genetista molecolare presso la Child Health Research Foundation di Dhaka, sostiene che, al di là dei grandi numeri, il fenomeno più sorprendente sia stata la penetrazione dell’attuale ondata nelle regioni rurali: “È stata colpita una popolazione completamente nuova, che per qualche motivo non era stata toccata precedentemente”, dice nell’articolo di Nature.

Cina: il virus torna a Wuhan dopo oltre un anno… – In Cina, invece, il coronavirus è tornato proprio a Wuhan, la città dove tutto è cominciato oltre un anno e mezzo fa. I nuovi casi in città sono solo una manciata – e poche centinaia in tutta la Cina – ma sembrano univocamente collegati a un solo focolaio, quello di Nanjing (Nanchino) dove il 10 luglio è atterrato un volo dalla Russia con passeggeri infetti a bordo. Il virus, secondo quanto ricostruito, è stato poi trasmesso attraverso gli addetti alle pulizie dell’aereo, e oggi ha raggiunto almeno 17 province e municipalità. Wuhan non registrava nuovi casi di coronavirus dal maggio del 2020, e, dopo essere stata simbolo del virus, era diventata anche simbolo della sua sconfitta. Adesso invece le autorità annunciano tamponi per tutti i 12 milioni di residenti, misura analoga a quella attuata già nella primavera dell’anno scorso, quando, alla fine dei test di massa, la città potè presentarsi al mondo come luogo più sicuro al mondo, dopo essere già stata città-martire.

…e a Nanchino in migliaia sono già in lockdown – Anche in Cina questa è stagione turistica e le autorità hanno imputato la diffusione della nuova variante anche ai viaggi interni, tant’è che hanno sconsigliato quelli non essenziali e imposto misure di chiusura nei luoghi dove si registrano nuovi casi. A Nanchino, per esempio, migliaia di abitanti sono già in lockdown, mentre la città di Zhangjiajie, nello Hunan – meta turistica da quando i suoi picchi e foreste hanno fatto da set al kolossal Avatar – è stata isolata dopo alcuni contagi tra i 5mila spettatori che sedevano vicini durante uno spettacolo teatrale, per poi ripartire verso le rispettive città. Venti funzionari locali sono già stati rimossi per aver permesso un tale assembramento spalla a spalla, mentre si teme una nuova diffusione incontrollata come già successe a Wuhan nel gennaio del 2020, anche se allora si trattava di milioni di persone che partivano per il capodanno cinese, adesso solo di alcune migliaia.

Record di casi (e polemiche) nel Giappone dei Giochi – Nel Giappone olimpico, i nuovi casi giornalieri a Tokyo hanno raggiunto la quota record di 5.042, mentre a livello nazionale hanno per la prima volta superato i 15mila, rinnovando così le polemiche sull’opportunità dei Giochi. In realtà, il 5 agosto gli organizzatori delle Olimpiadi hanno segnalato 31 nuovi casi legati alla kermesse, per un totale di 353 a partire dal 1° luglio: numeri tutto sommato modesti. Tuttavia, molti puntano il dito contro il messaggio ambiguo arrivato dal governo quando ha insistito sulla non pericolosità delle Olimpiadi, una sorta di “liberi tutti” in un paese dove le misure di contenimento sono rimaste perlopiù su base volontaria. Il Primo ministro Suga Yoshihide è ai minimi di gradimento, ciononostante restano in piena emergenza solo sei prafetture, tra cui Tokyo, mentre altre 13 sono soggette a direttive meno rigide. Fondamentalmente, le restrizioni si limitano a invitare i ristoranti a chiudere presto e a non servire alcolici, disincentivando così la popolazione alle uscite serali. Suga ha anche chiesto alla cittadinanza di astenersi dai viaggi durante le vacanze estive.

In Corea si vaccina ma non si traccia più – In Corea del Sud, recenti misure di distanziamento sociale sono state estese per altre due settimane: a Seul, niente “riunioni private” con più di due persone dopo le 18:00, mentre si può arrivare fino a quattro nel resto del Paese. Il fatto è che nel giro di tre settimane il numero di casi gravi è raddoppiato. Lee Soon-young, presidente della Società coreana di epidemiologia, ha dichiarato alla Reuters che la diffusione della variante Delta potrebbe essere un esito paradossale della campagna vaccinale in corso, dato che il personale sanitario è mobilitato sulle inoculazioni e non sulla ricerca dei contatti, pratica in cui la Corea si era distinta durante la prima ondata: “Il tracciamento dei contatti sta diminuendo […] a causa della sovrapposizione con le attività di controllo delle reazioni avverse alla vaccinazione”.

Record di casi in Malaysia, Thailandia, Indonesia – Pessime notizie arrivano anche dal Sud-est asiatico. In Malaysia si registrano oltre 16mila nuovi casi al giorno, in Thailandia superano i 20mila, in Indonesia raggiungono addirittura quota 50mila. Bimandra Djaafara, epidemiologo di malattie infettive presso l’Imperial College di Londra che ha lavorato sul caso indonesiano, denuncia “mancanza di accesso alle strutture sanitarie e all’ossigeno, specialmente nelle aree rurali e nelle aree al di fuori di Giava che hanno strutture più povere”. Ma è diametralmente opposta la situazione thailandese, segno della complessità regionale. Nelle precedenti ondate di pandemia, il Paese aveva mantenuto un numero di casi relativamente basso “perché la maggior parte dei focolai non erano a Bangkok”, dice a Nature Surakameth Mahasirimongkol, del ministero thailandese di Sanità Pubblica. “Ma ora la Delta è arrivata nel cuore della capitale e si sta rivelando molto più difficile da contenere”.

Vaccini a rilento, si punta sul distanziamento – Tutte queste storie da Paesi diversi hanno un comun denominatore: con la rapida diffusione della Delta, la vaccinazione, che negli Stati asiatici procede perlopiù a rilento, diventa sempre più urgente. Se la Cina ha iniettato a oggi circa 1,9 miliardi di dosi – ma non si sa quante siano le persone effettivamente vaccinate – il Giappone dichiara di aver pienamente vaccinato meno del 31 per cento della propria popolazione, e la Corea del Sud solo il 14,7, mentre il 6 agosto l’Oms riporta che nell’area del Sudest asiatico (e fatte salve le differenze nei tassi di vaccinazione da nazione a nazione) “i Paesi si stanno impegnando per avere il 10 per cento della popolazione completamente vaccinata entro la fine di settembre, il 40 per cento entro la fine di quest’anno e il 70 per cento entro la metà del 2022″, laddove però l’aggressività della nuova variante ha già fatto alzare l’asticella dell’immunità di gregge a livello globale: non più il 60-70 per cento della popolazione, bensì l’80. Ma la ricetta che in Asia sembra funzionare meglio – o che quanto meno viene adottata più di frequente – è quella della “tolleranza zero” verso il virus, cioè del distanziamento sociale. Imposto o consigliato che sia.

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