Ho assistito alla lectio magistralis di Riccardo Muti quando l’Università di Lecce (ora Università del Salento) gli conferì la laurea honoris causa in Beni Musicali. Era il 1998. Tre mesi prima della sua lezione Muti chiese che tre studenti che facevano parte dell’orchestra dell’Università studiassero uno spartito che, poi, avrebbero dovuto suonare, assieme, di fronte a lui. Uno di quelli era un mio studente. Passò settimane a perfezionarsi.

Muti iniziò la lezione, a mia memoria, dicendo che i tre avrebbero suonato un pezzo che aveva loro assegnato. I tre suonarono. Applausi. Finita l’esibizione (di pochi minuti), Muti iniziò a spiegare, ad ognuno dei musicisti, cosa avrebbe dovuto fare per dare più enfasi, ritmo, lievità e altro ancora a ogni nota eseguita. Poi li istruì su come suonare assieme. Fece vedere cosa fa un direttore d’orchestra. Alla fine della lezione, che durò circa un’ora, i tre risuonarono quel pezzo e fu chiaro a tutti, anche a chi non capisce molto di musica in senso tecnico, come me, quale sia il ruolo di un direttore d’orchestra.

Il maestro non suona uno strumento… suona l’orchestra. Quando sentiamo un solista che esegue il suo pezzo non diciamo che è stato bravo lo strumento che ha emesso i suoni, diciamo che è stato bravo lui, o lei. E così avviene per l’orchestra. È il direttore d’orchestra che la suona. E la stessa orchestra suona diversamente a seconda di chi la dirige, proprio come uno strumento.

Quest’anno Muti compie ottant’anni e continua a lavorare come sempre. Gente così non va in pensione per raggiunti limiti di età…

Quest’anno avrebbe compiuto ottant’anni un altro musicista con cui ho avuto modo di interagire: Frank Zappa. La prima volta che lo incontrai, a casa sua a Los Angeles, ebbi il privilegio di assistere a una sessione di registrazione di una traccia di batteria, suonata da Chad Wackerman. Zappa aveva scritto lo spartito e Wackerman lo doveva imparare. Poi Zappa lo avrebbe accompagnato ad altre tracce, per ottenere la composizione finale.

Guardando Muti istruire i musicisti mi venne in mente Zappa che istruiva il batterista. Era il 1983, e la London Symphony Orchestra aveva appena inciso un disco con musiche di Zappa. Si trattava della prima registrazione digitale di un’orchestra sinfonica. C’era una traccia per ogni strumento e, in post produzione, Zappa era in grado di “dirigere” ulteriormente i musicisti, portandoli a emettere i suoni come il compositore (Zappa) li aveva “sentiti” nella sua testa.

L’anno dopo, nel 1984, l’Ensemble Intercontemporain di Parigi, diretto da Pierre Boulez, aveva in programma musiche di Zappa. Andai al concerto. Il giorno prima, Zappa mi raccontò delle vicissitudini delle prove. Boulez aveva rotto la bacchetta dalla stizza, perché l’orchestra stentava a stare a tempo, rispettando i tempi strani che Zappa utilizzava. Solo una parte di quello che fu suonato quella sera finì nel disco. Un’altra parte fu suonata da un computer. Zappa mi disse: se non ci riescono questi non ci riesce nessuno, anche se i miei musicisti rock riescono a suonare con questi ritmi…

Poi trovò l’Ensemble Modern e questi riuscirono a suonare la sua musica come voleva lui. Durante il concerto a Francoforte fu proprio Zappa a dirigere l’orchestra. Ma non a Vienna, dove ero andato per assistere a quell’ultimo concerto: il direttore ufficiale dell’orchestra prese il suo posto.

Zappa e Muti potrebbero sembrare molto differenti ma, a pensarci bene, sono molto simili. Uso il presente anche se Zappa non c’è più da troppo tempo. L’ultimo tour di Zappa con un’orchestra rock risale al 1988. Provarono per mesi, prima di iniziare il tour, e ogni sera lo spettacolo era differente. I musicisti avevano imparato più di 120 pezzi ed erano in grado di passare da uno all’altro ad un gesto della mano di Frank che, durante il tour, scrisse altri pezzi, arricchendo il programma.

Che differenza c’è tra i due? Zappa dirigeva la musica che lui stesso aveva scritto, strumento per strumento, e sapeva esattamente cosa si dovesse sentire. I compositori delle musiche suonate dalle orchestre dirette da Muti non ci sono più da molto tempo, e non sono lì a giudicare il valore delle esecuzioni. Giudicano i critici, e il pubblico. Non esistono registrazioni originali di quelle musiche, non c’era la tecnologia per realizzarle. Non sappiamo cosa veramente volesse sentire il compositore. Il direttore d’orchestra ne diventa l’interprete e prende il suo posto nel dire ai musicisti cosa devono far sentire a chi ascolta.

Per quel che mi riguarda, purtroppo, non ho un’educazione musicale tale da permettermi di capire le differenze, ma quella lezione di Muti, per un breve momento, mi mise in grado di capire. Ora almeno so cosa mi perdo quando ascolto musica, e capisco la necessità, più volte invocata da Muti, di promuovere maggiormente l’educazione musicale nel nostro paese. Magari eseguendo nei teatri anche la musica di compositori che si allontanino dai canoni estetici più tradizionali.

Il compositore moderno si rifiuta di morire. Questa frase di Edgar Varése, grande ispiratore di Zappa, richiama la necessità di eseguire musica “nuova”, man mano che viene composta.

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