“Bologna avrà tutti i difetti che vuoi, ma quando piove ci sono i portici e non ci si bagna” afferma il porticista con orgoglio.

“Sì, ma se io abito al Pilastro, cosa me ne frega dei portici di Bologna? Io mi bagno” dice il suo acerrimo nemico, sempre pronto a smentire questa diceria.

“Cazzo è vero” pensa il porticista che non immagina che esista gente che popoli luoghi del genere, se non per sentito dire. “Ai ho capè, se abiti al Pilastro comprati un ombrello. Xa vut cat degga? Comunque sotto i portici, quando piove, trovi spesso dei venditori di ombrelli. Se te ne serve uno, dì pure a me. Ho le bazze. Pensavo tu abitassi in via Saragozza”.

“Mocché”.

I portici, che belli. Nati da un abuso edilizio non punito che ebbe inizio nel Duecento, anni orribili di espansione della città che, tra studenti ricchi e contadini che abbandonavano le campagne, arrivò a toccare i cinquantamila abitanti, i portici sono un simbolo della città e adesso c’è chi vorrebbe che diventassero patrimonio dell’umanità. Forte, no?

Il porticista contemporaneo adora passeggiare protetto in questi luoghi ad alto tasso di pedonanza e di mendicanza, ma da un po’ di tempo teme che in un futuro non troppo lontano, i portici potrebbero trasformarsi in quaranta chilometri di ciclabili al coperto.

Il porticista si dichiara già pronto a combattere questa battaglia ideologica e sa che si opporrà con tutte le sue forze, riuscendo però a patteggiare “solo” venti chilometri di ciclabile: da un lato del portico i pedoni porticisti, dall’altro i ciclisti. Che disastro!

Questi e tanti altri cambiamenti attendono il porticista che sconsolato dirà: “Non ci sono più i portici di una volta”.

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