Distanti da anni dal mondo del lavoro, disabili e svantaggiati che da tempo sono in povertà – e dunque molto difficili da ricollocare – minori che vivono in famiglie con profonde difficoltà economiche. Sono queste le caratteristiche della maggior parte dei 3 milioni e 700mila cittadini che finora hanno beneficiato del reddito di cittadinanza: due terzi non sono presenti negli archivi Inps per gli anni 2018 e 2019 e quindi non versano contributi, sono distanti dal mercato del lavoro e difficilmente rioccupabili. Il restante terzo, che invece risulta presente, percepiva un reddito pari al 12% delle retribuzioni annue medie dei lavoratori del settore privato in Italia, e solo il 20% ha lavorato per più di 3 mesi nel corso del periodo precedente all’introduzione del sussidio. Nel giorno in cui da Napoli Matteo Renzi rilancia l’obiettivo di abolizione del reddito di cittadinanza, l’Inps pubblica il suo 20° rapporto annuale: dentro ci sono pure i numeri della misura introdotta dal primo governo di Giuseppe Conte. Basta leggere quei dati per capire a cosa serve quel piccolo bonifico mensile che il presidente dell’Istituto Pasquale Tridico, nella relazione di accompagnamento, ha definito “un’ancora di salvataggio, uno strumento di inclusione sociale prima di tutto, una leva contro la regressione nella povertà assoluta“. Insieme all’indennità di disoccupazione (la Naspi) e alla cassa integrazione in deroga per le imprese, ha dichiarato Tridico, il reddito è stato “una tutela contro il peggioramento delle condizioni di povertà e deprivazione nel periodo della crisi, fortunatamente introdotta prima della fase pandemica e rafforzata, nella sua copertura, dall’introduzione temporanea del reddito di emergenza“.

Orlando: “Basta campagna contro i poveri” – Dati, quelli del rapporto Inps, che hanno portato anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando a schierarsi con toni netti in difesa del reddito contro i tentativi di assalto di politica e imprenditoria. “Invito a leggere il rapporto prima di parlare del reddito di cittadinanza”, ha detto, intervenendo in Commissione Lavoro alla Camera subito dopo Tridico. “Lo dico perché credo che la discussione che si sta sviluppando prescinde completamente dai dati che emergono dal rapporto. O si contesta questo rapporto oppure si parte da qui. E questo lo dico perché la discussione appare a un tasso di strumentalità che fa sospettare che si sia in procinto di attuare una pericolosa, sbagliata campagna contro i poveri e di criminalizzazione della povertà. Se così fosse non sarebbe utile al Paese, che ha bisogno di pace sociale, di coesione e non ha bisogno di riaprire fratture profonde. Ha bisogno di migliorare, non di destrutturare, e non di aprire conflitti laddove non è necesario”, ha spiegato l’esponente del Pd.

I numeri su chi prende il reddito: minori, disabili, ma anche lavoratori – “Il principale obiettivo del Reddito di cittadinanza, che è un reddito minimo a tutti gli effetti, rivolto anche ai lavoratori (un quarto dei percettori ha un lavoro), è il contrasto alla povertà“, ha puntualizzato Tridico, spiegando che “la occupabilità dei percettori, purtroppo, è molto scarsa. Un gran numero di beneficiari di reddito o pensione di cittadinanza – una misura la cui erogazione è pari in media a 552 euro per intero nucleo familiare – è costituito da minori (1.350.000), disabili (450.000), persone con difficoltà fisiche o psichiche non percettori di pensioni di invalidità, oltre a circa 200.000 percettori di pensione di cittadinanza. La distribuzione geografica dei beneficiari – più al Sud e nelle isole che al Nord, con in testa la Campania – per Tridico “non si tratta di un dato particolarmente sorprendente dato che queste regioni sono caratterizzate da bassa occupazione e forte incidenza della povertà“. Peraltro, spiega il presidente, in quarant’anni la disuguaglianza salariale risulta quasi raddoppiata, con una varianza da 0,24 nel 1985 a 0,44 nel 2018″. A colpire maggiormente è “che tale incremento avviene per un terzo all’interno delle aziende indipendentemente da settore o dimensione aziendale”, ha concluso.

L’assalto al reddito – Parole che arrivano in risposta alle critiche al reddito che hanno ripreso quota negli ultimi giorni. Secondo albergatori e imprenditori del turismo ripresi da vari media, infatti, il personale scarseggia non a causa di condizioni di lavoro estenuanti, stipendi miseri e in nero, ma perché i percettori di un qualche sostegno preferiscono “stare sul divano”, narrazione diventata ormai scontata quando si parla della misura. A capo dei contestatori si è schierato Renzi, lanciando la raccolta firme per un referendum abrogativo (vietato nell’ultimo anno di legislatura): parlando ai Giovani imprenditori di Confindustria, il leader di Italia Viva ha spiegato che saranno gli italiani a dover decidere se il reddito “è diseducativo o meno e se va mantenuto o no”. Dopo l’avvicinamento con l’altro Matteo – Salvini – sul Ddl Zan, le posizioni dei due si sono allineate anche sul sostegno. Anche per il leader leghista, infatti, la misura andrebbe rivista perché anziché creare lavoro, “crea problemi”.

Gli altri aiuti per la pandemia – Il presidente Tridico, nella propria relazione, ha infine riportato i numeri dei sostegni e dei bonus messi in campo dal governo per fronteggiare la pandemia: “A 515mila nuclei familiari è stata assicurata l’estensione dei congedi dal lavoro per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con le esigenze familiari e di cura; 850mila nuclei familiari hanno fruito del bonus baby-sitting; a 722mila famiglie con gravi difficoltà economiche è stato erogato il Reddito di emergenza emergenziale (Rem)”. E ancora, “a 216mila bonus per lavoratori domestici; 1 milione e 800mila nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) hanno beneficiato del Reddito di cittadinanza o della pensione di cittadinanza“. Proprio questo “potente strumento di sostegno al reddito” ha contribuito, ha spiegato il presidente dell’Inps “a ridurre il rischio di tensioni sociali”. Numeri, quelli elencati da Tridico, che riprendono i dati Istat del 17 giugno nell’Osservatorio su reddito e pensione di cittadinanza aggiornato al mese di maggio.

Blocco dei licenziamenti ha salvato 330mila posti – Nel rapporto dell’Inps si spiega poi che con il blocco dei licenziamenti, tra marzo 2020 e febbraio 2021 sono stati preservati circa 330mila posti di lavoro. Il risultato del blocco dei licenziamenti economici emerge con chiarezza nei dati sulle cessazioni: nei 24 mesi che precedono la pandemia, il numero medio annuo di licenziamenti (al netto di quelli disciplinari) è stato di 560mila, un numero più che dimezzato, 230mila, nell’anno del Covid. Quanto ai pensionamenti, il presidente dell’Istituto, Pasquale Tridico sottolinea che in Italia “il rapporto tra numero di pensionati e occupati si mantiene su un livello che è tra i più elevati nel quadro europeo“. E il rapporto tra l’importo complessivo delle pensioni, in termini nominali, e il numero degli occupati è “cresciuto del 70% tra 2001 e 2020”. Il dato, per i sindacati, dimostra quanto sia “urgente” aprire un tavolo di confronto fra Governo e sindacati sulle pensioni e quanto sia “grave non averlo ancora fatto”. Senza il tavolo, le parti sociali minacciano dimostrazioni. “Non sembra vi sia nell’Esecutivo la consapevolezza che se non arrivassero risposte concrete su un tema così sensibile, sarà inevitabile una incisiva mobilitazione dei lavoratori“, tuona il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli.

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