Le donne indigene continuano a giocare un ruolo determinante nel presente dell’America Latina, conquistando sempre di più la ribalta internazionale e spazi di decisione fondamentali per il futuro dei paesi che compongono la regione. È accaduto per esempio domenica 4 luglio in Cile, dove la mapuche Elisa Loncón ha ottenuto l’incarico di presidentessa con 96 preferenze su 155, nella prima sessione della Convenzione Costituzionale cilena. Un momento storico per la Nazione Mapuche e per tutto il Cile, paese che può lasciare indietro i fantasmi della dittatura e che sembra intenzionato a risignificare anche la relazione dello Stato con i popoli nativi.

Loncón è una della 17 persone elette tra i candidati dei popoli ancestrali del Cile per la nuova costituente, donna di 58 anni, poliglotta e con un solido background accademico (è professoressa universitaria), conta su una lunga militanza per la difesa della cultura e della lingua della nazione Mapuche. E proprio in mapudungun (la sua lingua madre) ha esteso i suoi primi saluti nel nuovo ruolo da presidentessa, accompagnata dall’altra storica leader mapuche cilena, la machi Francisca Linconao.

Le sue parole sono state piene di emozione e speranza, parole nelle quali ha salutato e ringraziato tutto il Cile. Loncón ha poi aggiunto: “Questa Convenzione che da oggi presiederò trasformerà il Cile in un Paese plurinazionale, in un Paese interculturale, in un Paese che non viola i diritti delle donne, delle cuidadoras, in un Paese che si prende cura della madre terra e che ripulirà le acque”. Non è poi mancato il riferimento al passato del suo popolo, quando la neo eletta presidentessa ha affermato che “Questo sogno è un sogno dei nostri antenati, questo sogno che si avvera ci dice che è possibile rifondare questo Cile, stabilire una nuova relazione tra il popolo mapuche, le nazioni originarie e tutte le nazioni che compongono questo paese…”.

Elisa Loncón non è però l’unica donna indigena ad aver fatto storia a livello politico nelle ultime settimane. Spostandoci più a nord, in Ecuador, troviamo Guadalupe Llori, anche lei di 58 anni, deputata del partito indigeno Pachakutik, che il 16 maggio scorso è stata eletta presidentessa dell’assemblea della Repubblica dell’Ecuador. Anche qui si tratta di un accadimento storico: infatti Llori, proveniente dall’Amazzonia, è la prima donna indigena a ricoprire questo incarico nel paese andino.

Se poi consideriamo il passato burrascoso della dirigente indigena, originaria della provincia di Orellana, la storia assume un carattere ancora più simbolico. Guadalupe Llori fu infatti una delle leader indigene che entrarono in rotta di collisione con il correismo: accusata di terrorismo e sabotaggio dal governo di Rafael Correa (organizzò lo sciopero anti-petrolifero della parrocchia di Dayuma), fu arrestata nel dicembre 2007. Fu liberata il 23 settembre del 2008, ritornando già l’anno successivo alla vita politica attiva ed essendo nuovamente eletta come prefetta della provincia di Orellana (sia nel 2009 che nel 2014). Una donna dal passato militante e controverso, secondo alcuni una sovversiva, secondo altri un’eroina. Quel che è certo è che anche il suo nome oggi fa parte della storia dal volto di donna indigena della regione latinoamericana.

In Brasile poi, dove i popoli indigeni stanno subendo una guerra senza quartiere dall’amministrazione del presidente Jair Bolsonaro, come non ricordare Joênia Wapichana e Sônia Guajajara: rispettivamente, la prima donna indigena eletta nella camera dei deputati nel 2018 (rappresentante lo Stato di Roraima) e la leader del Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB).

Uscendo dalla politica ma rimanendo nell’attivismo spicca il nome della peruviana Liz Chicaje, della comunità indigena bora, premiata il 15 giugno scorso con il Goldman Prize (conosciuto anche come il premio Nobel ambientale) per la sua difesa dell’Amazzonia. Un premio che anche nel 2020 in America Latina aveva avuto due volti e due storie indigene di insorgenza femminile: Leydy Pech in Messico e Nemonte Nemquino in Ecuador.

Non siamo dunque di fronte a casi sporadici di donne indigene brillanti e carismatiche che arrivano per qualche caso del destino a calcare palcoscenici internazionali: siamo di fronte ad un vero e proprio risveglio regionale delle identità indigene femminili. Lo definisce in modo profondo e meraviglioso un’altra grande weichafe (guerriera) della nazione Mapuche, Moira Millán. Lei che dalla Patagonia argentina ha guidato la marcia contro il terricidio, arrivata a Buenos Aires nel maggio scorso, parla di un femminismo cosmogonico, descrivendo così questo nuova forza che sta scuotendo la regione (e non solo): “La forza tellurica spirituale della Terra sta svegliando le donne e le donne combatteranno per difendere la Terra, vera fonte della loro reale identità. Noi non stiamo disputando il potere a questo sistema colonialista, patriarcale e capitalista. Stiamo lottando per ristabilire l’armonia”.

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