Il cashback riprende nel primo semestre del 2022. È quanto prevede lo schema del decreto che arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri sul concorso per stimolare l’uso di bancomat e carte di credito. Dopo le proteste di M5s e Pd per la cancellazione, senza che da Palazzo Chigi né dal Mef arrivassero smentite circa il taglio definitivo della misura, il testo preparato per l’approvazione non prevede una cancellazione tout court ma uno stop di 6 mesi con lo stanziamento da 1,75 miliardi di euro che verrà dirottato sul finanziamento degli ammortizzatori sociali. Durante la riunione, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha definito la misura, così come strutturata in questo momento, di “carattere regressivo” e destinata “ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori”. E intanto il governo pensa anche di differire il pagamento dei rimborsi dei 1.500 euro di Supercashback, destinati ai 100mila che hanno effettuato il maggior numero di transazioni tra l’1 gennaio e il 30 giugno. Ad oggi, infatti, il programma prevede il bonifico entro la metà di agosto, mentre il decreto sposta l’erogazione del supercashback “entro il 30 novembre 2021″ (quindi più in là di 3 mesi) e contestualmente ritarda anche alla stessa data del prossimo anno il pagamento dei rimborsi per il primo semestre 2022. Inoltre, sia per il cashback che per il Supercashback sono anche previsti 120 giorni per fare un reclamo e 30 concessi a Consap valutarli.

Blocco di sei mesi, poi si riparte – Dopo le polemiche scaturite dalla cancellazione annunciata durante la cabina di regia, con il M5s e il Pd che nella giornata di martedì avevano protestato vivacemente per la soppressione della misura introdotta dal governo Conte, la bozza del decreto è quindi assai più morbida rispetto alle previsioni. E durante la riunione a Palazzo Chigi Draghi, come si è appreso, ha rassicurato sulla ripartenza del cashback e tranquillizzato dem e pentastellati sull’impegno per la lotta all’evasione, spiegando che il Mef effettuerà rilevazioni periodiche relative all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici, sulla base del supporto informativo fornito dalla Banca d’Italia. Il presidente del Consiglio ha spiegato le ragioni che hanno spinto allo stop momentaneo, criticando il cashback perché “ha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori”. La maggiore concentrazione dei mezzi alternativi al contante, ha sostenuto, si registra “tra gli abitanti del Nord e, più in generale delle grandi città, con un capofamiglia di età inferiore a 65 anni, un reddito medio-alto e una condizione diversa da quella di operaio o disoccupato”. A tutt’oggi, ha ammesso, “non esistono dati specifici a riguardo”, ma è “presumibile” che” siano queste categorie a trarre i maggiori benefici dal cashback e dai bonus e superbonus collegati”. La misura, insomma, ha aggiunto ai ministri “rischia perciò di accentuare la sperequazione tra i redditi, favorendo le famiglie più ricche, con una propensione al consumo presumibilmente più bassa, determinando un effetto moltiplicativo sul pil non sufficientemente significativo a fronte del costo della misura”.

Le critiche di Draghi al programma – Draghi ha anche sottolineato come lo stanziamento da 4,75 miliardi di euro debba essere valutato non solo in relazione ai benefici attesi, ma anche del costo e dell’attuale quadro economico e sociale, che ha visto – nel 2020 – 335mila nuovi nuclei familiari e oltre 1 milione di persone in più entrare in povertà assoluta, stando ai dati Istat. “A fronte degli effetti regressivi, dei costi e delle criticità applicative, non possono a tutt’oggi stimarsi effetti significativi sul gettito – ha aggiunto – Al contrario, è probabile che le transazioni elettroniche crescano per effetto del cashback soprattutto in settori già a bassa evasione, come la grande distribuzione organizzata che, secondo l’Istat, assorbe quasi la metà della spesa al dettaglio, piuttosto che in quelli critici”. Inoltre, ha sostenuto ancora il premier, non esiste alcuna obiettiva evidenza della maggiore propensione all’utilizzo dei pagamenti elettronici da parte degli aderenti al programma: “Quasi il 73% delle famiglie già spende tramite le carte più del plafond previsto dal provvedimento. Pertanto, la maggior parte potrebbe ricevere il massimo vantaggio anche senza intensificare l’uso delle carte. È invece improbabile che chi è privo di carte o attualmente le usa per un ammontare inferiore al plafond possa effettivamente raggiungerlo, perché la maggior parte di loro non può spendere quelle cifre”.

Le mancate risposte del Mef – Negli scorsi giorni la ratio dell’addio al concorso era rimasta oscura e il ministero dell’Economia, interpellato da Ilfattoquotidiano.it, aveva ammesso che la mossa era stata decisa senza una valutazione d’impatto. Nelle scorse settimane, gli uffici del ministero guidato da Daniele Franco non avevano fornito dati specifici nemmeno alla Corte dei Conti quando i giudici contabili avevano chiesto una serie di dati per analizzare l’utilità della misura. “Allo scopo di acquisire primi elementi di valutazione sulla misura introdotta, sono stati richiesti al Dipartimento del tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze alcuni dati e informazioni”, si legge nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica elaborato dalla Corte dei Conti. Nello specifico, al ministero erano stati richiesti “l’ammontare in valore assoluto delle transazioni ripartito in classi di valore”, i “disaggregati per codice Ateco o per raggruppamenti di attività e il relativo numero di operazioni complessivamente effettuate” e la “distribuzione su base regionale dei medesimi raggruppamenti”. A dir poco non esaustiva la collaborazione degli uffici ministeriali: “Il Dipartimento – fa notare la Corte dei Conti – si è limitato a fornire i soli dati relativi alla disaggregazione delle transazioni per classi di importo e la distribuzione del numero di utenti per fasce di operazioni”.

Le “perplessità” della Corte dei Conti – Relativamente alla distribuzione degli operatori per raggruppamenti di attività e su base regionale, il Dipartimento ha opposto ragioni di privacy legate all’elaborazione dei dati, sostenendo che l’infrastruttura tecnologica che li elabora “non raccoglie informazioni di dettaglio circa la categoria merceologica o la localizzazione degli esercenti presso cui sono effettuate le transazioni”. Una spiegazione di fronte alla quale la Corte dei Conti ha espresso “perplessità”, tenuto conto – si legge nella Relazione – che “la conoscenza degli effetti economici e sociali generati dal Programma appare indispensabile ove si consideri la rilevanza delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e gli ambiziosi obiettivi che sono alla base dell’iniziativa”. E quindi i giudici avevano sottolineato: “Va peraltro rilevato che le transazioni mediante carta di credito o di debito prevedano l’utilizzazione del codice MCC (Merchant Category Code) quale codifica standard a livello internazionale per definire la categoria merceologica dell’esercente – si legge ancora nella relazione – Quanto alle preoccupazioni in materia di privacy, si rileva come i dati richiesti riguardassero unicamente aggregazioni di raggruppamenti di attività economiche su base territoriale e su base solo regionale”.

Aggiornato da redazioneweb alle 17:40 dell’1 luglio. In una prima versione dell’articolo era stato riportato che tutti i rimborsi (e non solo quelli del supercashback) sarebbero slittati a novembre.

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