Doveva durare due anni e fare da volano per cambiare le abitudini di pagamento degli italiani nei negozi fisici, provando a incentivare la moneta elettronica, invece il cashback scomparirà dall’1 luglio insieme ai rimborsi da 150 e da 1.500 euro previsti anche nel secondo semestre del 2021. Per quale motivo? Esiste una valutazione d’impatto che ha spinto allo stop del programma finanziato con 1,75 miliardi per quest’anno e 3 miliardi per il prossimo? “No”, ammettono dal ministero dell’Economia. La decisione, maturata nel corso della cabina di regia e che nelle scorse settimane era stata richiesta solo da Fratelli d’Italia, arriva a due giorni dall’inizio del prossimo semestre del concorso che – stando ai dati del governo – ha coinvolto dal 1° gennaio ad oggi 7.874.869 di utenti che hanno effettuato 736.202.135 transazioni con bancomat, carte di credito e altre modalità cashless con un importo medio di 35,60 euro. In quasi 6 milioni hanno effettuato più di 50 pagamenti assicurandosi il rimborso da 150 euro e in 2.365.705 hanno ‘strisciato’ la carta in almeno 100 occasioni.

Una mole di pagamenti che si è concentrata soprattutto in spese medio-piccole, quelle che in larga parte erano affidate al contante. La fotografia è quella ufficiale scattata dal portale del governo che fornisce i dati del Piano cashless: fino ad oggi le transazioni per un importo inferiore ai 5 euro sono state 119.832.324 (il 16,3% del totale). Si tratta della seconda fascia dopo quella relativa ai pagamenti tra i 25 e i 50 euro, dove si sono concentrate 157.189.278 transazioni (21,4%). Mentre tutte le transazioni sopra i 50 euro rappresentano poco più del 18 per cento del totale con i pagamenti superiori ai 300 euro che sono stati pari ad appena lo 0,84% del totale delle transazioni cashless.

Troppo poco, secondo il Mef, per continuare. Eppure – contattato da Ilfattoquotidiano.it – il ministero spiega di non avere una valutazione d’impatto aggiornata sugli effetti della misura. Né risponde riguardo ai motivi che hanno spinto a cancellare il piano introdotto dal governo Conte. Per il quale, negli scorsi mesi, erano arrivati giudizi tutt’altro che negativi. Non solo dalla Community Cashless Society – di cui fanno parte Intesa Sanpaolo, Mastercard, Nexi, Poste Italiane, Unicredit e Visa – che sulla base di un sondaggio aveva spiegato come il 70% degli italiani fosse stato incentivato a utilizzare maggiormente le carte, in particolare al Sud. Stando al Rapporto Community cashless society 2021 – che ha utilizzato un modello econometrico, con inevitabili margini di errore, ed è partito dall’impatto avuto da una misura simile in Portogallo – il cashback avrebbe potuto “abilitare un gettito addizionale, in termini di recupero di sommerso e VAT gap (Iva altrimenti non pagata ndr), per lo Stato pari a 1,2 miliardi di euro al 2022” soprattutto attraverso lo stimolo ai consumi. Dal 2023 in avanti l’impatto sarebbe poi aumentato grazie alla “diffusione della cultura cashless” fino a cumulare, al 2025, 9,2 miliardi di maggior gettito.

La misura è stata giudicata positivamente anche da esponenti dell’esecutivo Draghi. Pure da chi, come il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, voleva abolirlo. Rispondendo a un’interrogazione in commissione Finanze della Camera, il leghista aveva spiegato: “Spinge le transazioni elettroniche anche per piccoli importi”. E riguardo alle condotte anomale dei “furbetti” aveva sottolineato che rappresentavano “lo 0,2%” delle transazioni. Anche il ministro dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colao, sempre a marzo, aveva parlato di “un grande successo” perché “molti italiani” grazie al cashback “hanno imparato o cominciato a fare cose che prima non facevano”. Insomma: “L’effetto traino c’è già stato”, aveva spiegato rimandando al Mef per una valutazione dell’impatto economico. Nei mesi successivi a chiedere l’abolizione in maniera secca, così come è stata partorita lunedì sera dalla cabina di regia, era stata solo Fratelli d’Italia, la cui mozione era stata respinta. Palazzo Madama aveva invece detto sì a un testo più morbido, presentato dalla maggioranza, che impegnava il governo “ad approfondire il monitoraggio del programma”, anche “al fine di adottare eventuali provvedimenti correttivi”, con una “valutazione retrospettiva di costi e benefici”.

La linea sulla quale si era sostanzialmente assestata anche la Corte dei Conti, che a fine maggio aveva osservato come la prosecuzione del Piano cashless (che comprende anche la lotteria degli scontrini) “dovrà trovare supporto nella compiuta conoscenza di elementi quali la valutazione degli effetti prodotti nei diversi settori interessati e l’impatto in termini di emersione di ricavi e compensi precedentemente occultati”, scrivevano i giudici contabili nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2021. In cui si auspicava una soluzione che “privilegi i pagamenti verso operatori medio piccoli prevedendo un incentivo differenziato” e invitato ad aumentare il numero minimo di operazioni richieste per ricevere il rimborso (ad oggi 50) perché “appare esiguo, indebolendo l’interesse ad utilizzare il pagamento elettronico”.

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