Prima di avere la diagnosi di vulvodinia una donna attraversa un calvario. Possono passare da sei mesi a due, tre, fino a cinque anni. In tutto questo tempo la paziente incontra molti specialisti che alla fine le dicono “non so più cosa fare” e arriva a spendere 20mila euro tra viaggi della speranza, visite private, esami e terapie perfettamente inutili. Il dolore che prova è estenuante, tanto da stravolgerle la vita. “Non riuscivo più a stare seduta, ho dovuto prendere un mese di aspettativa dal lavoro, le fitte lancinanti e la sensazione di punture di spillo alla vagina avevano preso il sopravvento su tutti i miei pensieri” racconta Silvia, 37 anni, di Milano. La vulvodinia è una sindrome neuropatica, caratterizzata dall’infiammazione dei nervi dell’area genitale e pelvica, e spesso coinvolge anche la muscolatura del pavimento pelvico (che risulta contratta). È poco conosciuta da chi ne soffre e dagli stessi operatori sanitari. I medici che se ne occupano si possono contare sulle dita di due mani. Eppure è una patologia frequente, che colpisce il 15 per cento della popolazione femminile, di qualsiasi età, comprese bambine e signore anziane. Il dolore pelvico non risparmia neanche il sesso maschile. Una patologia di cui in Italia si parla pochissimo e che è finita sui giornali a inizio maggio scorso grazie a Giorgia Soleri, modella e fidanzata del frontman dei Maneskin, che ha iniziato a parlarne. Il 7 aprile scorso alla Camera è stata depositata una proposta di legge, a prima firma della deputata 5 stelle Lucia Scanu, per fare uscire dal cono d’ombra questa malattia e inserirla nell’elenco delle patologie croniche che rientrano nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), che danno diritto all’esenzione del ticket per le correlate prestazioni mediche.

Oggi anche dopo la diagnosi sono a carico della paziente le spese di alcuni farmaci, delle visite di controllo (quasi sempre presso studi privati) e della riabilitazione del pavimento pelvico. “È fondamentale che il testo sia calendarizzato al più presto in commissione Affari sociali per diverse ragioni – dichiara Scanu -. La prima è che tante donne non sanno di avere questa patologia e rimangono senza una diagnosi e una cura per degli anni. La seconda sono i costi enormi che oggi sopportano le pazienti. Si sottopongono dalle cinque alle venti visite a vuoto, prendono voli aerei e girano per tutta l’Italia alla ricerca di un esperto che le aiuti. Terzo motivo, la vulvodinia è un disturbo invalidante che nelle fasi più acute impedisce di lavorare con ricadute sul piano psicologico”. La proposta di legge si compone di sei articoli che puntano a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoci della sindrome, la sua conoscenza a livello medico e nella società, la ricerca e l’associazionismo finalizzato a dare supporto alle pazienti. Si chiede inoltre che vengano predisposti uno specifico protocollo di cura e di riabilitazione e corsi di formazione sulla vulvodinia e sulle patologie del pavimento pelvico destinate al personale medico e a quello addetto ai consultori familiari. Per realizzare questi obiettivi è previsto lo stanziamento di un fondo annuo di 20 milioni di euro.

Il medico: “In media ogni giorno visito dieci donne con vulvodinia” – “Dalla vulvodinia si guarisce. Non è una malattia rara né cronica, anche se c’è possibilità di recidiva” chiarisce subito Filippo Murina, responsabile del servizio di patologia del tratto genitale inferiore dell’Ospedale Buzzi di Milano e direttore scientifico dell’associazione italiana vulvodinia, nata nel 2006 per far conoscere la patologia e aiutare i medici a individuarla e curarla e le pazienti a superare disagi e difficoltà. Al Buzzi, negli anni, il dottor Murina è diventato un punto di riferimento nazionale. “In media ogni giorno visito dieci donne con vulvodinia – riferisce -. Provengono da ogni parte d’Italia e hanno già consultato diversi specialisti, tra ginecologi, urologi e dermatologi, senza risolvere il problema. Se non si conosce la vulvodinia si suppone erroneamente che si tratti di un’infezione e vengono prescritti antimicotici, antibiotici, creme cortisoniche, che però non servono a niente”. Quali sono i sintomi della malattia? “La donna da almeno tre mesi presenta bruciore e dolore costante nella regione vulvare (costituita dalle grandi e dalle piccole labbra, dal clitoride, dal vestibolo vulvare, dall’orifizio uretrale e dall’orifizio vaginale, ndr) – spiega il medico -. Si fa un test di toccamento con un cotton fioc della zona d’ingresso della vagina per vedere se il tocco viene percepito come doloroso. I fattori scatenanti sono un’ipersensibilità delle terminazioni nervose del vestibolo (l’ingresso della vagina, ndr), candidosi e cistiti ricorrenti, alterazioni ormonali, traumi durante il parto o rapporto sessuale, utilizzo di pantaloni dal cavallo molto stretto, contrattura dei muscoli pelvici favorita da attività sportive, come il pilates. Spesso la vulvodinia si associa anche alla sindrome del colon irritabile”. Se si identifica il problema se ne esce, questo è sicuro. “Bisogna costruire un percorso di cura personalizzato, multidisciplinare e multimodale – illustra Murina -, che prevede una terapia con farmaci antineuropatici, elettrostimolazione vaginale, fisioterapia per riabilitare la muscolatura, norme igienico-comportamentali, come indossare biancheria intima di cotone e di colore bianco e pantaloni larghi, evitare lavande e non trattenere a lungo la pipì. Di solito dopo un paio di mesi la situazione migliora”.

Le storie e le diagnosi sbagliate – La donna finché non scopre di avere la vulvodinia si sente dare dell’ipocondriaca o viene liquidata con espressioni del tipo “è solo stress emotivo, si rilassi”. Lo sfogo di Silvia: “Ho fatto tamponi su tamponi ed erano sempre negativi. Uscivo dagli studi medici ogni volta con una diagnosi di vaginite e ho fatto cicli di antibiotici a vuoto. ‘Non so più come aiutarti’ mi ha detto l’ultima ginecologa. Poi un dermatologo ha ipotizzato una dermatite”. L’ennesimo buco nell’acqua. “Fintanto – continua – che l’estate scorsa la mia vita è diventata un casino, avevo un dolore continuativo e insopportabile, la vulva era gonfia e viola, impossibile avere rapporti sessuali, stare seduta, indossare anche le mutande, lavoravo in piedi o sdraiata. Dopo altre cinque consulenze ginecologiche, due accessi in pronto soccorso e tantissimi esami inutili, finalmente a ottobre ho ricevuto la diagnosi”. Silvia tira il fiato. “Ho iniziato a prendere vitamina B12, usare mutande bianche di cotone e seguire una dieta antinfiammatoria a basso indice glicemico visto che soffro di coliche addominali. Poi sedute dal fisioterapista per il pavimento pelvico e dall’osteopata per la pancia. A dicembre il dolore spontaneo si è placato ma al semplice contatto saltavo in aria. A febbraio mi suggeriscono un neurologo, uno dei pochi esperti di vulvodinia, che mi prescrive una terapia con miorilassanti e farmaci antineuropatici”. Silvia ha pagato la sua salute a caro prezzo: “Tremila euro solo nell’ultimo anno”.

La storia di Cristina, anche lei trentasettenne, è legata invece a un trauma da parto. Era il 2019. “Nella fase espulsiva del parto c’è stato uno stiramento del nervo pudendo (che innerva tutta l’area genitale e pelvica, ndr) e quando mi hanno ricucita il nervo è stato incarcerato nel tessuto cicatriziale. Per due settimane non sono riuscita a muovere la gamba destra e avevo un forte dolore pelvico. Mi avevano detto che bastava prendere della tachipirina ma ho continuato a stare male lo stesso”. Cristina ha partorito all’ospedale Buzzi, dove lavora il dottor Murina, la sua fortuna. “Dopo due mesi ho incontrato il medico, che mi ha diagnosticato la vulvodinia e nel giro di tre mesi sono migliorata”. A Natale, dopo la nascita del secondo figlio, a causa dello sforzo il dolore è ricomparso, seppur in forma più lieve: “Ho imparato a tenerlo sotto controllo con sedute di elettrostimolazione antalgica, che serve per rilassare i muscoli pelvici, e esercizi di rilassamento da fare in autonomia che mi hanno insegnato delle ostetriche specializzate in vulvodinia. Credo che ogni donna dovrebbe conoscerli”.

Mancano personale competente e strutture dedicate – Tra gli eventi che possono causare la malattia, aggiunge Giorgio Galizia, neuro-urologo specializzato in materia, che riceve privatamente a Bologna, Modena e Roma, ci sono “interventi chirurgici all’utero e alle ovaie e fratture al coccige in seguito a traumi e cadute da cavallo, con gli sci o i pattini”. Il flusso di pazienti è in costante aumento e la lista di attesa per il primo appuntamento è di cinque mesi. “Visito almeno dieci pazienti al giorno, arrivano anche dall’estero, tre o quattro sono sempre nuovi casi, e il 20 per cento è di sesso maschile” sottolinea. Le tre branchie della medicina coinvolte nella lotta contro la vulvodinia e le disfunzioni del pavimento pelvico sono essenzialmente tre: ginecologia, urologia e neurologia. Ma a parte la carenza di personale competente, nel Servizio sanitario nazionale (Ssn), come si diceva, non esistono strutture dedicate. “Bisogna investire in centri pubblici – lo ribadisce anche Galizia -. La richiesta di assistenza è tanta. Il dolore neuropatico è un tarlo che non dà tregua e la donna tende a chiudersi in se stessa. Un paio di mie pazienti, straziate dal dolore persistente, mi hanno espresso la volontà di ricorrere al suicidio assistito”. Per guarire serve pazienza. “Risultati stabili si ottengono dopo circa un anno di cura. I miorilassanti non sono passati dal Ssn così come alcuni antineuropatici, mentre per altri si riesce a far pagare solo il ticket facendo rientrare la prescrizione tra i casi che non rispondono ad altri medicinali”. Per quanto riguarda gli integratori, avverte Galizia, “pochi sono quelli veramente efficaci, definire un protocollo di cura permette di evitare prescrizioni inappropriate di questi prodotti”.

I gruppi di mutuo aiuto per scambiarsi consigli – Il volontariato rappresenta un’ancòra di salvezza per tutte le donne affette da vulvodinia. Erika, 48 anni, è una delle coordinatici del Gruppo ascolto vulvodinia, un progetto dell’associazione Casa maternità prima luce di Torino, attivo dal 2018. “È un gruppo di mutuo aiuto – racconta -. Ci incontriamo una volta al mese, prima in presenza, adesso su zoom. Ci scambiamo consigli, ci confrontiamo sulle terapie e sui comportamenti da tenere, per esempio evitare di andare in bicicletta, di indossare i tacchi alti, di fare pilates, squat e in generale gli esercizi che coinvolgono la parte inferiore del corpo”. Erika convive con la vulvodinia da quasi vent’anni. “Ci ho messo quattro anni per avere la diagnosi giusta, grazie a un forum online che mi aveva indicato un medico esperto su Milano. Soffrivo di candidosi e vaginiti frequenti, provavo fastidio durante i rapporti sessuali, avevo prurito insopportabile, fitte che sembrano coltellate nella vagina, mi dicevano che ero troppo ansiosa, che avrei dovuto cambiare fidanzato. Ho visto ginecologi, omeopati, osteopati. Sono andata perfino dalla psicoterapeuta, tutto inutile. Dal 2003 a oggi tra visite, fisioterapia, farmaci, integratori e continui pellegrinaggi da Torino verso Bologna, Roma e Milano, in totale avrò speso 30mila euro”. Dopo due anni dall’inizio della cura Erika si era ripresa. Poi la ricaduta “a causa di una cistite batterica”. Da allora la terapia ha smesso di funzionare, “ho cambiato tre farmaci, prendo degli integratori per l’intestino e per il rilassamento muscolare, faccio della fisioterapia pelvica e vado dalla nutrizionista”.

Rosanna Piancone, infermiera di Bolzano, è la presidente dell’associazione Cistite.info, che ha creato nel 2015 mettendo in piedi un sito online omonimo. “Ho scelto questo nome perché le donne che si rivolgono al web pensano di avere la cistite o la candida, non sanno cosa sia la vulvodinia, quindi non ci avrebbero mai trovati, eppure il 90 per cento di chi ci contatta è affetto da questa sindrome”. Piancone sei anni fa ha somministrato un sondaggio a 200 utenti da cui è emerso che “per raggiungere un medico esperto percorrono in media 378 chilometri, impiegano cinque anni per arrivare alla diagnosi corretta e tirano fuori quasi quattromila euro in un anno tra visite, esami e viaggi”. Rosanna, 51 anni, si è lasciata alle spalle la vulvodinia nel 2007, dopo quattro anni di consultazioni mediche e sui forum online e un anno di cure mirate. “Sul sito abbiamo pubblicato un elenco di specialisti che si occupano di vulvodinia, consigli su come vivere meglio e video tutorial su come effettuare esercizi di rilassamento pelvico. L’associazione – conclude la presidente – dà una mano alle pazienti più indigenti offrendo un bonus da 200 euro per l’acquisto di integratori, una consulenza con me e la prima visita con il medico, ma il più delle volte è lo stesso professionista che non si fa pagare quando gli segnaliamo una donna in difficoltà economica”.

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