Nel calcio c’è solo una cosa più aggregante della vittoria: la sconfitta. Niente come l’insuccesso riesce a cementare un popolo intero, a creare un’autonarrazione più impregnata di romanticismo. Una volta annacquata dal tempo la disfatta diventa terreno fertile per la nostalgia e per il nostalgismo, creta nella quale scolpire la propria specificità. Anche se quell’insuccesso, in realtà, non è mai arrivato per davvero. Almeno non sul campo. Un concetto con il quale il Linfield Football Club convive ormai da 72 anni. Perché il calcio a Belfast è cambiato nel corso di un pomeriggio. Per sempre. È il 27 dicembre del 1948 e il cielo sopra la città ha il colore della ghisa. Piove. Tira vento. Fa freddo. Eppure nessuno ha intenzione di perdersi il derby del boxing day.

Il blu del Linfield contro il biancoverde del Belfast Celtic. Chi arriva in anticipo a Windsor Park si mette a sfogliare una copia del “The Windsor Magazine”. Cerca qualche notizia sulla squadra, ma finisce per imbattersi in un titolo. “Cos’è che rende lo scontro fra Celtic e Linfield così magnetico, un’attrazione non solo per i seguaci di entrambi i club, ma anche per molti altri tifosi?”. La domanda troverà risposta un’ora e mezza più tardi sul rettangolo di gioco. Perché Celtic e Linfield non sono solo due squadre delle stessa città. Sono due modi alternativi di vedere la vita, sono lo specchio delle divisioni che frantumavano la società dell’Irlanda del Nord. Il Linfield è stato fondato a sud della città dagli operai dell’Ulster Spinning Company’s Linfield Mill. Un club popolare. Ma soprattutto un club protestante. I cattolici sono guardati con diffidenza. Nessuno di loro avrebbe mai vestito la maglia blu. Per nessun motivo al mondo. Il Celtic Belfast è l’estremo opposto. Sono cattolici, si ispirano ai loro cugini scozzesi e nel 1920 erano addirittura stati squalificati dal torneo. Nell’altro derby cittadino, quello contro i protestanti del Glentoran, uno spettatore era riuscito a portare nello stadio una pistola e aveva iniziato a sparare sugli altri tifosi.

In quel pomeriggio del 1948 la tensione è alle stelle. Il Celtic aveva vinto gli ultimi sei campionati. Un successo dietro l’altro, senza lasciare neanche le briciole agli avverarsi. Almeno fino a quel momento. Perché il Linfield era riuscito a scalare la classifica fino a distanziare i rivali di tre punti. Era un vantaggio esile. Fin troppo. Perché il Celtic poteva contare su un ragazzino di 20 anni. Si chiamava Jimmy Jones ed era qualcosa in più di un semplice attaccante. L’anno prima aveva segnato 62 gol. Ora in 19 partite ne aveva realizzati 27. Con sei triplette. Il Linfield gli aveva messo gli occhi addosso da tempo. Ma si era fatto bruciare dai rivali. Uno sgarbo che non era stato digerito. Dopo la firma erano volate parole grosse. E anche qualche minaccia. “Ve la faremo pagare”, avrebbe detto qualche dirigente. Solo che le cose erano andate in maniera diversa. In tre gare a Windsor Park aveva segnato sei gol al Linfield. Mezza Europa si era fatta viva per acquistare l’attaccante.

Il Newcastle aveva anche fatto un’offerta ufficiale. Sedicimila sterline. Il Celtic aveva annuito, aveva ringraziato, poi aveva declinato. Ma solo perché al termine della stagione l’avrebbero sicuramente venduto a un prezzo maggiore. In quella pomeriggio cupo Jimmy Jones si sente addosso sessantamila occhi. Anche quelli dei suoi genitori, che sono arrivati allo stadio per il derby. Stavolta l’attaccante fatica a trovare il guizzo giusto. Il campo è pesante, la pressione di più. I suoi muscoli si sgonfiano, il suo respiro si accorcia, la sua testa diventa leggera. Al 35’ Jimmy si scontra con Bob Bryson. Il difensore del Linfield resta a terra. Grida, si porta le mani alla caviglia, si contorce. In qualche modo lo portano fuori dal campo. Ma non ci sono sostituzioni. Così i blues restano in dieci. E non è ancora finita. Qualche minuto dopo Jackie Russull, professione attaccante, colpisce di testa. E resta intontito. Perché la sfera è talmente impregnata d’acqua che si è trasformata un una palla medica. In neanche un tempo il Linfield è rimasto in 9.

La sconfitta sembra imminente. Così la rabbia inizia a gonfiarsi. Sulle tribune. In panchina. In mezzo all’erba verde. Anche perché durante l’intervallo l’altoparlante annuncia che in quel contrasto con Jones Bryson si è spezzato una gamba. Il secondo tempo è una centrifuga. Bonnar del Celtic e Currie del Linfield si fanno espellere. Taylor trasforma un calcio di rigore nel vantaggio bianconverde. Poi, a quattro minuti dalla fine, McAlinden segna il gol dell’1-1. “La reazione al gol di Billie mi ha spaventato – ha detto anni dopo l’ala del Celtic George Hazlett alla BBC – ho visto che i poliziotti in divisa, che dovevano essere neutrali, lanciavano in aria i loro caschi con grande gusto. Allora ho capito che non avremmo avuto molta protezione“. E infatti al fischio finale va in scena il delirio collettivo. Centinaia di tifosi del Linfield invadono il campo. Avanzano compatti, mulinando pugni, macinando insulti. Qualche avversario viene colpito. Ma il bersaglio è un altro. Jimmy Jones si ritrova braccato. In un attimo è a terra. Gli sono subito addosso. Può vedere i loro denti scoperti, le loro facce piene di disprezzo, i loro occhi piccoli. Ma sente soprattutto le loro botte. Pugni e calci. Calci e pugni. Ancora e ancora e ancora. Poi qualcuno decide di applicare la legge del taglione. Occhio per occhio, dente per dente, tibia per tibia. Con un colpo spaccano la gamba di Jones. L’attaccante perde i sensi. Per le botte. Per il dolore. Eppure nessuno lo soccorre. Almeno fino a quando il suo amico Sean McCann non scavalca le transenne e si getta su di lui.

Jimmy è salvo. Anche se dopo essersi rimarginata la sua gamba resterà sempre un po’ più corta. Il Belfast Celtic morirà quel giorno. A fine campionato, infatti, i dirigenti del club decideranno di sciogliere la società. Troppa violenza, troppe lacrime, troppa sofferenza. Da quel giorno il Linfield combatte per per lavare via quella macchia. Oggi il suo statuto prevede la condanna di ogni forma di settarismo e un impegno costante all’inclusione. Il disimpegno dalla politica e dallo scontro religioso non è stato facile. Anche perché per anni il Linfield ha fatto parte dei Blues Brothers. Un ponte ideale con Chelsea e Rangers Glasgow che rappresentava anche l’unione di tifoserie protestanti che appoggiano la corona. La scorsa settimana il Linfield ha vinto il suo cinquantacinquesimo campionato dell’Irlanda del Nord, il terzo di fila, sui centoventi disputati. Praticamente quasi un torneo su due è stato vinto dalla squadra in maglia blu. I sogni di gloria sono però molto lontani. Al momento l’intera rosa del Linfield ha un valore di mercato di circa 1.1 milioni di euro. I rivali del Glentoran, che hanno chiuso al secondo posto, li superano di poco meno di 500mila euro. Ma solo perché in rosa hanno tre calciatori in più. Il calciomercato è affidato alla fantasia. Secondo Transfermarkt, infatti, i cinque acquisti di questa estate sono arrivati a titolo gratuito o in prestito. I più importanti sono scarti di qualche altra squadra alla periferia del mondo, gli altri provengono dalle altre squadre locali. La vittoria dello scudetto e l’accesso al preliminare di Champions League farà entrare nelle casse del club una cifra che oscilla fra gli 800mila e il milione di euro, ma che potrebbe salire fino a 1.2 milioni in caso di superamento del primo turno eliminatorio in programma il 15 giugno. Soldi che basteranno a mandare avanti la società per qualche tempo. Nell’attesa di riuscire a lavare via una volta per tutto quel pomeriggio del 27 dicembre del 1948.

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