La trasparenza in Italia non è mai troppa, ma a volte sì. Lo ha appena scoperto, suo malgrado, il ministro Roberto Cingolani. “Guarda ho in linea un giornalista, dice che sul sito non trova l’agenda dei miei incontri. Allora, ‘trasparenza’, poi dove vado? ‘Altri contenuti’. Poi? Dati ulteriori? Sì, e poi?”. Il ministro della Transizione Ecologica è al telefono con ilfattoquotidiano.it, in linea anche la divisione che si occupa del sito istituzionale. Alla fine ritrova la sua agenda degli incontri, quella specie di ‘bussola della trasparenza’ nei rapporti con imprese e lobby che è stata una recente conquista nei ministeri, dal Mise a quello dell’Ambiente. Dell’assenza si era accorta l’associazione The Good Lobby, sempre vigile in materia.

Sempre in diretta con il ministro viene fuori l’incredibile: quelle pagine, gli rispondono dalla divisione, sono state volutamente “nascoste” dopo che il Garante della Privacy ha aperto un’istruttoria nella quale contesta che le agende degli incontri, così come sono proposte sul sito, non vanno bene. Perché mai? Perché sono troppe e compongono di fatto un database e questo non si può fare per la legge sulla privacy. Cingolani cade letteralmente dalle nuvole. “Mi stanno dicendo che per questo tutto il comparto con gli appuntamenti che prima era in bella vista è stato in qualche modo reso meno accessibile, nelle more di un’interlocuzione con il Garante che è in corso e al quale intendiamo rispondere”.

Ed ecco la nota delGarante, data 21 aprile 2021 (scarica). Oggetto: “Pubblicazione di dati personali online. Richiesta d’informazioni ai sensi dell’art. 157 del d. lgs. n. 196 del 30/6/2003 – “Codice in materia di protezione dei dati personali”. In cinque pagine il capo del “Dipartimento realtà pubbliche” dell’authority notifica l’istruttoria a carico del ministero al quale contesta l’eccesso di trasparenza. La segnalazione è partita da un’autorità di bacino della Sicilia all’Anac, alla quale evidentemente non piaceva fossero resi pubblici i dati richiesti dal ministero, secondo i rigidi dettami del decreto con cui nel 2018 il ministro Sergio Costa implementò il registro degli incontri. L’Anac per altro diede ragione al ministero, rilevando che non si trattava di dati sensibili ma di pubblico interesse, che erano esposti in formato .pdf e non open source, che consente la costruzione di un database, e ricordando come i soggetti incontrati firmano appositamente un’autorizzazione al trattamento dei dati. Ma per il Garante questo non è sufficiente.

“La predetta Agenda – si legge invece nel documento – divisa per le varie strutture, dipartimenti, divisioni, direzioni, comitati, ecc., comprende specifiche informazioni relative ai singoli incontri e riunioni di lavoro effettuati (a cadenza, settimanale, bi-settimanale o mensile) – anche relative alla precedente organizzazione ministeriale – da tutti i predetti soggetti, quali «Data, ora e durata», «Luogo», «Soggetto richiedente», «Modalità di richiesta», «oggetto», nominativo dei «partecipanti», «Documentazione ricevuta».

E ancora: “Dall’istruttoria effettuata – si legge – è emerso che codesto Ministero ha creato, pubblicato e reso accessibile un intero database, contenente dati personali riferito a tale attività, non solo di titolari di incarico di indirizzo politico, ma anche di dirigenti e altri dipendenti e soggetti a vario titolo impiegati presso il Ministero, nonché di centinaia di soggetti “portatori di interesse” partecipanti ai numerosissimi incontri e riunioni di lavoro, registrando e prevedendo un obbligo di pubblicazione degli incontri e del materiale trasmesso”. E ancora: “Di conseguenza, ad esempio, anche una semplice riunione di lavoro o una videoconferenza fra diverse amministrazioni diviene oggetto di un obbligo di pubblicazione online, con i nominativi di tutti i partecipanti, data, ora, sede, oggetto, ecc”. Che è poi esattamente la trasparenza totale che le associazioni contro il lobbismo selvaggio invocano da anni.

Il garante chiede al ministero di indicare le contromisure che intende adottare, ad esempio per minimizzare la diffusione di dati perché “siano in ogni caso limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati. Ciò anche considerando che gli stessi risultano riferiti indifferentemente a tutte le strutture politiche e amministrative del Ministero e a tutti i soggetti che effettuano incontri o riunioni lavorative, senza peraltro prevedere proporzionati tempi di cancellazione dei dati”.

La nota dava 30 giorni di tempo al Ministero per rispondere e adeguarsi ma il tempo è praticamente scaduto e l’unica opzione rimasta agli uffici è stata quella di rendere l’agenda che scotta praticamente introvabile. Cingolani, una volta ricostruita la vicenda, si dice disarmato: “Io francamente non so che fare. Se la tolgo mi massacrano, perché dicono che non sono trasparente, se la lascio espongo il ministero a sanzioni. Sto anche pensando di rimettere l’agenda dov’era e pagare di tasca mia l’eventuale sanzione, ma gli uffici mi dicono che anche questo non si può fare”. Quello che ancora non sa è quanto salato possa essere il conto: le sanzioni in materia arrivano a 10 milioni di euro.

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