“La tentazione c’è stata. Ma non cambio idea. Non mi ricandido. Nei giorni scorsi mi sono confrontata proprio su questo tema anche con Luigi Di Maio“. Così la sindaca M5s di Torino, Chiara Appendino, in un’intervista al Corriere della Sera annuncia la volontà di non candidarsi alle Comunali del prossimo autunno. “Lo scenario è cambiato nelle ultime settimane – aggiunge – Non c’è stato coraggio da parte di quello che doveva essere il nostro naturale alleato, il Pd, scegliendo una strada differente con primarie che, di fatto, hanno escluso il Movimento. A Torino, e non solo”, è la critica rivolta da Appendino al Partito democratico. Qualcuno aveva pensato che l’imminente nuova maternità potesse pesare sulla sua decisione: “Quando l’ho annunciata, una parte della politica ha avuto una reazione pavloviana: ecco, allora è sicuro che se ne va. Come se avessi contratto una malattia grave“. Invece le ragioni, spiega, sono altre: “Sono stata condannata due volte, anche se solo in primo grado di giudizio – afferma -. A malincuore, non ritengo di essere nelle condizioni di candidarmi”. Chiuso con la politica? “Niente affatto. Continuerò. Esistono tanti modi per farlo. In questi cinque anni ho imparato che si fa politica con il linguaggio, con il proprio comportamento, con l’uso che fai del tuo ruolo. Non mi faccio nessuna domanda sul mio futuro. Non ho tempo. Sono sindaca di città ancora in pandemia e tra cinque mesi divento madre per la seconda volta”.

Appendino spiega i due “possibili percorsi” sui quali ha ragionato con i vertici del M5s: “Il primo prevedeva continuità amministrativa, il secondo un candidato civico che potesse garantirla. Nell’ambito della prima ipotesi, abbiamo discusso di un eventuale ritorno sui miei passi”. La nuova maternità non c’entra nulla, nonostante le voci: “Ci ero abituata, nel 2016 avevo fatto la campagna elettorale incinta di Sara, la mia primogenita. E tutti si chiedevano se ce l’avrei fatta a reggere, gravata come sarei stata da quello che viene talvolta considerato come una zavorra“. “In questi cinque anni – racconta ancora Appendino – spesso chi entrava nel mio ufficio nel vedere la foto di Sara mi chiedeva se fosse mia figlia. Alla risposta affermativa, seguiva puntuale la solita domanda: ma allora come fai a fare il sindaco?“. La sindaca aggiunge: “Se fossi maschio, nessuno mi farebbe questa domanda. Un giorno, stavo camminando nella piazza di Palazzo di città. Si avvicina una signora matura con il nipotino per una foto. Allora li invito a salire in municipio per vedere la Sala rossa. Una volta di sopra, il bimbo chiede alla nonna: ma il sindaco maschio dov’è? Per questo mi sono sempre esposta a favore del linguaggio di genere. Sono convinta che anche la lingua possa contribuire a superare certi stereotipi culturali. E anche per questo, la nuova maternità non ha influenzato la scelta di non ripresentarmi. Anzi”.

Appendino sottolinea le due condanne in primo grado: un anno e sei mesi per i fatti di piazza San Carlo, sei mesi per il caso Ream. “A malincuore, non ritengo di essere nelle condizioni di candidarmi. Anche se mi dispiace non proseguire il lavoro sui temi a me più cari come quelli su ambiente, sociale, innovazione e soprattutto sui diritti civili“, spiega. E torna quindi a rivolgersi ai dem: “Che comunità vogliamo costruire, noi e il Pd? E chi ci vuole stare? La vicinanza su temi come il Ddl Zan, così come una visione comune su disuguaglianze e distribuzione del reddito. Le forze progressiste, delle quali io mi sento parte, dovrebbero fare squadra“. Per questo, secondo Appendino, “ci vorrebbe più maturità e il coraggio di lasciarsi alle spalle le idiosincrasie passate. Bisogna solo chiedersi se entrambi, noi e il Pd, siamo disposti ognuno a fare un sacrificio per fare un passo avanti. A Torino, io mi sono fatta da parte. Loro, invece, non sono disposti a trovare una terza soluzione“, rimarca la sindaca, “noi non volevamo affermarci in modo unilaterale. Volevamo mettere a disposizione dell’eventuale alleanza con il Pd una figura terza in grado di portare avanti un progetto comune. Il Pd non ha voluto”.

Il no ad apparentamenti al secondo turno è perché “gli elettori non sono pedine da spostare. Devono credere in un progetto, che deve essere costruito bene. Pensare che al ballottaggio possano appoggiare, a prescindere, un determinato candidato, è irrispettoso nei loro confronti”, rimarca Appendino. “Nel Pd quasi ovunque hanno prevalso dinamiche legate alle posizioni del partito a livello locale che i vertici nazionali non hanno voluto superare”. Quanto a eventuali pregiudizi nei confronti suoi e di Virginia Raggi, conclude Appendino, “parlo per me, anche se le similitudini sono evidenti. In questi anni ho vissuto un mix di pregiudizi. Il primo: sono giovane. Poi, donna. Molto spesso, a Torino come altrove, ero l’unica donna al tavolo. Infine, esponente di una forza politica nuova“.

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