Un documentario egiziano che mette in cattiva luce la figura di Giulio Regeni è comparso su Youtube in un canale che si chiama The story of Giulio Regeni, al quale è associata anche una pagina Facebook. Il filmato in tre parti, che dura 50 minuti, si presenta come “il primo documentario che ricostruisce i movimenti strani di Giulio Regeni al Cairo”. Il video è in lingua araba con sottotitoli in italiano. Nel filmato compaiono anche le interviste all’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta, al senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri e all’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare Leonardo Tricarico. Tutti e tre hanno preso le distanze da quanto viene riportato nel docufilm. Da fonti inquirenti non si esclude che questa operazione egiziana possa rientrare nell’attività di depistaggio messa in atto già in passato per delegittimare l’attività di indagine svolta dalla Procura di Roma.

Il documentario è costellato di errori anche grossolani come il nome dello stesso Regeni che viene storpiato e riporta fatti già noti, ma ricostruiti con l’intento di gettare discredito sul ricercatore e di sostenere la tesi egiziana che le autorità del Cairo siano estranee alla tortura a morte di Giulio. Il video è spuntato su Youtube alla vigilia della prima udienza preliminare, davanti al gup di Roma, che vede imputati 5 appartenenti ai servizi segreti egiziani – Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif – accusati del sequestro, delle torture e dell’uccisione del giovane ricercatore italiano. Nell’atto di chiusura delle indagini i pm parlano di sevizie durate giorni che causarono a Regeni acute sofferenze fisiche messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Torture avvenute nella stanza n.13 di una villetta al Cairo nella disponibilità degli 007 nordafricani.

Nel documentario un avvocato egiziano parla di una presunta “lettera” che “l’Interpol italiano” inviò a quello egiziano “il primo febbraio 2016”, ossia due giorni prima del ritrovamento al Cairo del corpo martoriato del ricercatore friulano, per dire che “Regeni era scomparso nell’ottobre 2015 in Turchia”: “Ciò significa che Regeni è entrato in Italia ed è uscito senza che le autorità italiane lo sapessero”, sostiene il legale Wesam Ismail parlando di “una realtà molto strana” che la Procura di Roma avrebbe “trascurato”. La circostanza, che la voce narrante presenta come “il segreto della lettera che l’Interpol ha inviato al Cairo”, è contenuta dell’ultima delle tre parti in cui è suddiviso il documentario.

Nell’intervista inserita nel filmato, il senatore Gasparri afferma che “non ci sono solo i misteri del Cairo e i misteri di Cambridge, ci sono anche i misteri della Procura di Roma, su cui si dovrebbe fare luce”. La procura della Capitale “non è un luogo molto apprezzato”, sostiene il senatore azzurro nelle immagini trasmesse. “Chi segue l’informazione italiana sa che in questi giorni il libro più venduto in Italia è quello scritto da Alessandro Sallusti che ha intervistato un ex magistrato, Palamara. Èun libro che si chiama ‘Il Sistemà, racconta tutte le insufficienze della magistratura italiana. E anche la Procura di Roma è un luogo per il quale noi chiediamo un’indagine parlamentare, perché la magistratura italiana, purtroppo, ha molte cose da chiarire”.

Gasparri, dopo la pubblicazione del documentario, si è difeso: “Ho rilasciato un’intervista a un giornalista egiziano, di cui ho il filmato, in cui ho detto che bisogna indagare sull’Università di Cambridge dove ci sono docenti probabilmente vicini ai Fratelli musulmani. Anche i giudici della Procura di Roma com’è noto si sono recati in Inghilterra senza aver ottenuto alcuna risposta. Ma nessuna parola di discredito su Regeni”. L’ex ministra Trenta ha invece definito il documentario come un modo per “infangare” Regeni e ha chiarito: “Sono stata contattata dal sig. Mahmoud Abd Hamid che si è presentato come rappresentante dell’emittente araba Al Arabiya in Italia – ha scritto – Ha scritto che la loro troupe era a Roma per svolgere un film documentario sui rapporti diplomatici ed economici fra Italia ed Egitto”. “Se avessi saputo che la mia intervista sarebbe finita in un documentario che considero vergognoso e inaccettabile, naturalmente non avrei mai dato il mio consenso. Sono dunque stata tratta in inganno (peraltro la mia intervista, della durata di circa mezz’ora, è stata ridotta a pochi minuti) e mi auguro si faccia luce il prima possibile su quanto accaduto”.

Una spiegazione simile è stata fornita anche dal generale Tricarico: “Non ho giustificato chi ha ucciso Giulio Regeni, ho detto che bisognava indagare di più su Cambridge per capire meglio quello che è avvenuto. Le mie parole, che sottoscrivo punto per punto, sono state rese funzionali alle tesi del filmato che io non condivido”. Un mese fa, spiega Tricarico, “sono stato intervistato per circa un’ora da un giornalista egiziano che si è presentato come Khalifa Mohamed ed ha detto di lavorare per Al Jazeera e Al Arabiya. Mi ha fatto una serie di domande alle quali ho risposto. Ho sostenuto che la politica estera di un Paese deve essere la sintesi degli interessi nazionali e non essere ostaggio di un singolo caso, per quanto doloroso”. “Ho anche detto – ha proseguito – che non si è indagato a sufficienza sui ‘mandanti’ dell’omicidio, che sono in Gran Bretagna”. Ma, ha precisato, “nulla giustifica un delitto così, ma rispondere alle domande aiuterebbe a capire meglio. Ci sono interessi colossali tra Italia ed Egitto nel settore energetico e questo potrebbe aver disturbato qualcuno. Non va esclusa l’ipotesi di un ‘terzo attore'”.

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