Si rimane, un po’ perversamente, affascinati da chi appronta una catena di Sant’Antonio (altrimenti detta “Ponzi scheme”). Chi è convinto di poter protrarre all’infinito una truffa da balordi soffre di un ego smisurato e perverso. Nonostante sappia di essere una totale nullità si spaccia per guru della finanza, affettando maniere impeccabili, abbigliato di lusso a millantare affari mirabolanti in un turbinio di raccolte sempre più ingenti e menzogne sempre più smaccate.

Solo qualcuno con mastodontici disturbi della personalità può reggere lo stress di questa folle giostra del carpe diem dove ogni minuto può essere l’ultimo. Perché la deflagrazione della piramide può materializzarsi in qualsiasi momento. Di solito gli imbroglioni, ebbri di successo, finiscono per convincersi delle proprie follie e continuano a negare l’evidenza anche quando il castello delle loro malefatte è ridotto in macerie. A quel punto il Black Mirror ingoia lo spettatore mesmerizzato dalle immaginarie ricchezze. Così avvenne per il degenerato intreccio tra House of Games di Mamet e Gordon Gekko di Oliver Stone, orchestrato da Bernard Lawrence Madoff, detto Bernie.

A dicembre 2008 richieste di redenzioni per circa 7 miliardi di dollari segnarono la fine del novello Ponzi e lo indussero a confessare ai figli che la sua prestigiosa Madoff Investment Securities era la più gigantesca catena di Sant’Antonio della Storia, quantomeno nel settore privato. Nel settore pubblico di fronte ai trilioni di debiti che ormai si accumulano senza limiti, i 64,8 miliardi di ammanchi lasciati da Madoff equivalgono a pochi spiccioli. Purtroppo però nel settore pubblico le catene di Sant’Antonio non sono proibite dalla legge.

I Madoff junior – Mark (impiccatosi due anni dopo) ed Andrew morto di linfoma nel 2014 – di fronte all’enormità della rivelazione non ressero. Il 10 dicembre del 2008 (su consiglio del loro avvocato) vuotarono il sacco e la coscienza davanti a un procuratore federale. Il giorno successivo gli agenti dell’FBI ammanettarono il padre. L’America, già tramortita dalla bancarotta di Lehman Brothers avvenuta tre mesi prima, subì un’altra mazzata.

L’aspetto maggiormente devastante per la credibilità delle autorità di vigilanza fu la durata del raggiro che molto probabilmente (non si è mai appurato con certezza) durava dagli anni 70. Dopo l’arresto Madoff rivelò che lo schema Ponzi era del tutto evidente a chiunque avesse condotto accertamenti di routine sui suoi registri, incrociandoli con i dati della Depository Trust Company, cioè il custode dei titoli mobiliari.

Infatti, lo schema truffaldino era di una banalità sconcertante. Al confronto le Catene di Sant’Antonio nate nell’Albania post-Hoxha erano sofisticate ingegnerie finanziarie. Sostanzialmente Madoff versava i soldi dei clienti in un conto della Chase Manhattan Bank, senza investirli. Quando i clienti (perlopiù ebrei facoltosi e organizzazioni ebraiche) ne richiedevano una parte, semplicemente li prelevava dal conto. Il tutto si reggeva sulla presunzione che i clienti avrebbero lasciato gran parte dei loro fondi in gestione.

Gli ispettori della Sec (Securities and Exchange Commission) abbacinati dal fatto che la Madoff Securities era il maggiore market maker sul Nasdaq (e tra i primi d’America in assoluto) avevano preso i controlli alla leggera. Qualche occasionale funzionario zelante era stato dissuaso dai superiori i quali, per usare un eufemismo, avevano rapporti di amichevole consuetudine con la famiglia Madoff. Lo stesso Bernie nel 2009 in un interrogatorio non mancò di sottolineare che la presidente della Security and Exchange Commission (la temibile Sec), Mary Schapiro, era una “cara amica” e inoltre aveva rapporti con un commissario della Sec, Elisse Walter.

A scandalo scoppiato l’Inspector General della Sec, David Kotz, scoprì che sin dal 1992 erano state effettuate ben sei indagini su Madoff da parte della Sec, tutte finite in gloria per l’incompetenza dei funzionari pubblici che avevano deliberatamente trascurato le accuse di professionisti e informatori. Uno in particolare, Harry Markopolos aveva denunciato alla Sec nel 1999 che bastavano quattro minuti di calcoli matematici per appurare che i rendimenti decantati da Madoff erano impossibili da ottenere legalmente e pertanto sospettare che fossero fraudolenti. Ad esempio Madoff per ottenere i rendimenti dichiarati, avrebbe dovuto acquistare un numero di opzioni sul Chicago Board Options Exchange maggiore di quelle esistenti in commercio. Ma nonostante le ripetute e circostanziate denunce a Boston e a New York, la Sec era rimasta inerte.

Del resto Madoff era assurto ai vertici di organismi prestigiosi e influenti (per quanto sconosciuti al grande pubblico) ad esempio la Securities Industry and Financial Markets Association (una specie di Confindustria del settore dove ricoprì incarichi suo fratello Peter, anch’egli ai vertici della Madoff Securities). Inoltre Madoff era stato presidente e membro del consiglio di amministrazione della National Association of Securities Dealers (Nasd), una potentissima organizzazione di autoregolamentazione degli intermediari finanziari.

In sostanza era un titano di Wall Street che incuteva un timore reverenziale anche agli ineffabili mastini dei mercati finanziari. Di sicuro le generose donazioni a parlamentari democratici (i quali non subirono conseguenze) aggiungevano un ulteriore tocco che alti funzionari pubblici nominati da politici non sottovalutavano.

Madoff dopo pochi mesi dall’arresto venne condannato a 150 anni di carcere, il massimo della pena. Ma piena luce sulla frode non fu mai fatta. La Sec continua ad essere un occhiuto notaio dallo sguardo inebetito. Ora che un cancro lo ha vinto, come si scrisse del Bandito Giuliano, l’unica cosa certa è che Madoff sia morto.

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