A tre giorni dalla missione per l’ispezione dei siti di produzione in Russia, il Financial Times scrive che l’Agenzia europea per i farmaci (Ema) la prossima settimana avvierà un’indagine per verificare se durante la sperimentazione clinica del vaccino russo Sputnik V siano state violate le norme etiche e scientifiche concordate a livello internazionale. Il prestigioso quotidiano britannico cita alcune fonti vicine al dossier. Sotto la lente dell’agenzia ci sarebbe in particolare il rispetto del cosiddetto standard di ‘buona pratica clinica’ per la sicurezza dei partecipanti alla sperimentazione. L’indagine, chiave anche per il via libera all’immissione sul mercato europeo del vaccino russo, arriva dopo la denuncia di alcuni militari e dipendenti pubblici russi che hanno riferito di aver ricevuto pressioni dai loro superiori per sottoporsi ai test clinici.

Non è l’unica polemica che riguarda il composto sviluppato dal Centro Gamaleja di Mosca. Oggi un quotidiano slovacco, dove l’acquisto del vaccino russo ha scatenato nei giorni scorsi la crisi di governo, scrive che il vaccino arrivato non sarebbe lo stesso composto i cui dati si sicurezza ed efficacia sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet. Sullo Sputnik, registrato ad agosto scorso e presentato al mondo da Putin in persona, si erano, e in alcuni casi esistono ancora, concentrati i dubbi di una parte della comunità scientifica. Solo poche settimane fa il vaccino è stato somministrato al presidente Vladimir Putin.

Il 2 febbraio i dati, con efficacia oltre il 91%, sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet. Intanto il vaccino è stato acquistato e somministrato in diversi paesi del mondo e i dati di efficacia sarebbero diversi da quelli ufficiali in alcuni paesi come per esempio l’Argentina. Nelle settimane scorse Enrico Bucci, biologo della Temple University di Philadelphia negli Usa, in una intervista aveva spiegato le sue perplessità: “Al momento su Sputnik abbiamo due articoli su Lancet e tre correzioni. Generalmente una rivista scientifica mette a disposizione i dati e le conclusioni degli autori, ma in questo caso abbiamo avuto solo le conclusioni. È impossibile ricostruire i dati che le hanno generate perché non sono state messe a disposizione, nonostante reiterate richieste da tutto il mondo. I primi veri dati che abbiamo – precisava Bucci – sono quelli dell’Argentina. E il livello di anticorpi medio contro la proteina Spike è di 8 volte inferiore rispetto a quanto dichiarato dai russi. È uno studio ancora piccolo, ma i numeri non tornano, proprio come hanno sospettato studiosi di tutto il mondo. Il vaccino russo non è meglio degli altri vaccini, si comporta come tutti i suoi simili ad adenovirus. E ci sono discrepanze anche negli effetti collaterali, che sono molto più frequenti rispetto a quanto dichiarato dai russi”.

Dal punto di vista produttivo, inoltre, “si tratta di avviare la produzione per due vaccini per farne alla fine uno”. Perché “lo Sputnik – ricordava Bucci – utilizza due adenovirus: adenovirus 26 per la prima dose, adenovirus 5 per la seconda. Il vaccino Johnson & Johnson usa il 26, il vaccino cinese il 5. Dagli studi emerge che l’effetto del richiamo con diverso adenovirus non è molto rilevante, tanto che i russi stanno preparando lo ‘Sputnik light’ con solo l’adenovirus 26, quindi identico a J&J”. “Allora mi chiedo: dovendo produrre vaccini in Italia, perché fare quello con doppio adenovirus, quando usandone solo uno si ottiene il vaccino J&J, già approvato? Vorrebbe dire fare un raddoppio delle linee, ma anche raddoppiare la possibilità di errore – avverte lo scienziato – oltre che un’enorme spesa in più. Per un vaccino che, almeno adesso, non è stato autorizzato, e che quindi non può essere usato sugli italiani”.

Oggi sulla rivista Bmj è stata proprio pubblicata una lettera in cui si ribadiscono i dubbi sui dati. In un post su Facebook Bucci ricorda che lui e un gruppo di scienziati sono stati invitati dalla rivista Lancet a scrivere una lettera sulla questione. Nell’intervento sul British Medical Journal si ricordano le perplessità riguardo allo studio di fase 1/2 che “includevano modelli di dati problematici con un’eccessiva omogeneità dell’efficacia del vaccino in diversi momenti temporali”. Una ulteriore omogeneità, secondo gli autori, è stata osservata tra le fasce di età nella fase 3. “L’insolita e improbabile elevata omogeneità dell’efficacia del vaccino tra le fasce d’età e le diverse analisi ad interim solleva preoccupazioni sui dati riportati”.

La lettera sul Bmj

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