Il governo Draghi è nato con una “mission” specifica: produrre un Recovery Plan idoneo ad accompagnare il rilancio del Paese nei prossimi anni e superare il clamoroso stallo sui vaccini. Un duplice compito affidato all’ex Presidente della Bce quasi in supplenza della politica, che si era dimostrata inefficace non solo a raggiungere questi due scopi, ma anche a superare una crisi innescata su basi perlomeno discutibili.

Se per il Recovery Plan il nuovo governo ha scelto di avvalersi della consulenza di McKinsey, sul tema dei vaccini il problema ineludibile è rappresentato dalla Lombardia. In una sorta di contrappasso, la regione che un tempo (nemmeno troppo lontano) è stata locomotiva del Paese oggi vede i suoi dieci di milioni di abitanti sempre più traumatizzati, di fronte a una sequela di eventi che ha del surreale.

Il governo Conte II ha colpevolmente tergiversato, probabilmente nel timore di sentirsi rimproverare il sovvertimento del voto popolare. L’esecutivo guidato da Draghi ha invece il vantaggio di essere un tale patchwork politico da scoraggiare qualunque interpretazione malevola: semmai, il difficile sarà convincere Salvini e Berlusconi della necessità di intervenire su una regione che da sempre è una bandiera del centrodestra.

Per completezza dell’analisi politica, si deve rimarcare la lentezza con la quale il campo progressista sta preparandosi alla prossima contesa elettorale, che dovrebbe essere nel 2023. Il condizionale è d’obbligo, visto che con tutto quello che succede in Lombardia non si possono escludere svolte improvvise da un momento con l’altro. Tuttavia, sia il Pd che il Movimento Cinque Stelle sono al momento alle prese con vicende interne laceranti e paiono piuttosto indietro in quel processo che dovrebbe portare all’elaborazione di una credibile alternativa per una regione che da 25 anni è governata dal centrodestra.

Tuttavia, osservare questa realtà solo sul piano politico è decisamente limitante. Il problema vero è nel mondo reale: il conto di contagi, ricoveri, decessi, aziende fallite e posti di lavoro perduti continua a salire, mentre sulla distribuzione dei vaccini si sta sgretolando quel poco che resta dell’immagine di efficienza profondamente radicata nel dna lombardo.

Questa dovrebbe essere l’unica motivazione di un provvedimento che tempo viene invocato anche da medici e addetti ai lavori. Vale la pena specificare una cosa: commissariare la sanità lombarda non significa mandare a casa la Giunta Fontana, che continuerebbe ad esercitare il compito affidatole dagli elettori fino al termine del mandato, bensì avocare a sé quelle competenze sanitarie devolute alle regioni vent’anni fa, con la riforma del Titolo V° della Costituzione.

Il Covid-19 ha dimostrato in modo chiarissimo come la coesistenza di venti sistemi sanitari autonomi non funzioni. Lo stesso Draghi ha parlato della necessità di uniformarli, perché è ridicolo che ogni Regione decida chi, come e quando vaccinare prioritariamente.

Per questo è il semplice esame della realtà quotidiana a imporre al Presidente del Consiglio di intervenire immediatamente sulla sanità lombarda. Messo mano a quello che ormai è un problema nazionale, si potrà poi riflettere con maggiore calma sul passaggio a un sistema non “centralizzato” in senso burocratico, ma invece “coordinato” in senso organizzativo: è inaccettabile che chi nasce in una regione meno performante abbia meno tutele. Oggi tocca a noi lombardi, ma per tanti anni è stato il destino di altri nostri connazionali.

Il ministro della Salute (Speranza) è rimasto lo stesso del governo precedente, ma intorno a lui è cambiato praticamente tutto. Se davvero Draghi vuole invertire la rotta, non può esimersi dal partire dall’assunzione di un provvedimento coraggioso sulla Lombardia. Ogni giorno perso è un incremento del drammatico danno sanitario, sociale, economico e psicologico del quale prima o poi qualcuno dovrà rispondere.

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