Via libera al collocamento fuori ruolo del nuovo capo di gabinetto di Andrea Orlando, ma il Consiglio superiore della magistratura si spacca. E chi ha votato contro accusa i colleghi di una “violazione netta delle norme”. Palazzo dei Marescialli ha dato il suo ok alla pm della procura generale della Cassazione Elisabetta Cesqui, scelta dal nuovo ministro del Lavoro che l’aveva voluta come capo di gabinetto anche durante la sua esperienza da ministro della Giustizia. La decisione è passata con 12 voti a favore , 7 contrari e 3 astenuti e dopo che era stata bocciata la richiesta di un ritorno in Commissione del laico della Lega Stefano Cavanna. Al centro del contendere l’applicazione rigorosa della circolare sui magistrati fuori ruolo, che -secondo i contrari- avrebbe dovuto impedire il semaforo verde.

La circolare del Csm che regolamenta la materia non consente che si possa concedere il fuori ruolo a un magistrato se l’ufficio da cui proviene ha una scopertura superiore al 20%. Un ostacolo che si può superare solo in forza “del rilievo costituzionale” dell’organo che attribuisce l’incarico e della “natura” dell’incarico stesso, sempre tenendo conto delle esigenze dell’ufficio di provenienza e dell’interesse dell’amministrazione della giustizia.

Per la maggioranza le condizioni c’erano tutte. E’ vero che la procura generale della Cassazione dove è in servizio Cesqui ha una scopertura “virtuale” del 28% , se si tiene conto dell’aumento di organico della magistratura, stabilito nel 2019, ma rimasto sostanzialmente sulla carta. Ma quella percentuale è “destinata in tempi brevi, a ridursi al di sotto della soglia del 20%”, visto che è in corso la procedura per rafforzare la procura generale con 10 sostituti, come ha sostenuto la relatrice, Concetta Grillo, di Unicost. E a pesare sul piatto della bilancia non c’è solo il parere favorevole del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, ma anche il “sicuro interesse dell’amministrazione della giustizia allo svolgimento da parte di un magistrato di un incarico di così particolare importanza istituzionale”, soprattutto “nell’attuale contingenza socio-economica, in ragione del rilievo delle politiche pubbliche che il Ministero del Lavoro è chiamato a realizzare”. Un ragionamento fatto a pezzi dallo schieramento dei contrari: i laici Stefano Cavanna (Lega) e Alessio Lanzi (Forza Italia) e i togati Nino di Matteo, Antonio D’Amato (Magistratura Indipendente) , Sebastiano Ardita, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra, tutti e 3 di Autonomia e Indipendenza. “C’è una violazione netta delle norme“, hanno detto , contestando la sussistenza delle condizioni per superare gli ostacoli indicati dalle disposizioni e la reale possibilità di far calare a breve le scoperture della procura generale della Cassazione.

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