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Ultimo aggiornamento: 13:35 del 23 Febbraio 2021

Gori: “Conte federatore alleanza Pd-M5s-LeU? Sarebbe segno di debolezza. È la posizione di Draghi che dobbiamo sposare” – Video

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Giuseppe Conte federatore dell’alleanza Pd-M5s-LeU? Mi sembra una manifestazione di debolezza. Conte va ringraziato per il suo servizio ma bisogna ricordare la sua storia politica, che l’ha visto passare dall’alleanza con la Lega quando si definiva orgogliosamente populista e sovranista e brandiva il cartello dei decreti sicurezza fatti insieme a Salvini, a una alleanza di diverso segno”. Così, ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, esprime la sua contrarietà a una futura alleanza elettorale con LeU e M5s e a Giuseppe Conte nel ruolo di leader della coalizione.
E aggiunge: “Credo che Conte sia correttamente identificabile come esponente dei 5 Stelle, che oggi sono il primo partito in Parlamento in virtù delle elezioni del 2018, ma non lo saranno di sicuro nel 2023, avendo perso 2 voti su 3. Quindi, attribuire fin da ora a Conte, esponente del M5s, un ruolo dem francamente mi sembra un segno di subalternità. I leader nel Pd li scelgono gli elettori con le primarie e il Pd dovrà essere il primo partito di qualsiasi alleanza si componga”.

Gori spiega dettagliatamente il suo dissenso nei confronti di un’alleanza tra i tre partiti: “Un partito si deve definire a partire da se stesso, dalla sua identità, dai suoi valori e dagli interessi che vuole rappresentare. E solo dopo, eventualmente, deve occuparsi delle alleanze. Qua invece mi sembra che il processo si sia invertito. Un’alleanza con M5s e Pd potrebbe anche definirci, ma ci metterebbe in un angolo. L’idea che questa alleanza, da sola, possa essere vincente è ben lontana da qualsiasi previsione o sondaggio. E invece io credo che il Pd debba puntare a rappresentare al maggioranza degli italiani. Per farlo deve partire da se stesso – continua – In più, questa alleanza è una semplice somma di partiti e nasce come una alleanza contro i sovranisti. Quella del 2019 è stata una collaborazione tattica che è servita, ma trarre da questa una prospettiva politica, peraltro con quello che resta dei mutevoli 5 Stelle, non rappresenterebbe il cuore dell’identità riformista del Pd. Penso alla diversità tra noi e il M5s rispetto a temi come la giustizia o al ruolo dello Stato. E, inoltre, questa alleanza non sarebbe un cartello elettorale vincente contro il centrodestra“.

E chiosa: “Noi abbiamo un’occasione col governo Draghi, che è un governo riformista. Io ho letto due volte la relazione del rpesidente Draghi: la sua è una posizione democratica e riformista, che il Pd deve sposare e fare sua. Mi riferisco a quell’agenda che parla di europeismo, di scuola, di giovani, di lotta alla povertà, di crescita attraverso la transizione ecologica e digitale, di tutela del lavoro precario, di modernizzazione dello Stato. Questa è anche l’agenda del Pd e noi dobbiamo sostenerla con molta convinzione, non preoccuparci dell’asse con il M5s e LeU. Dobbiamo intestarcela per provare a costruire da qui al 2023 una offerta politica coerente con questa agenda”.

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