A volte ritornano. Fallito il tentativo di Alfio Marchini che avrebbe voluto affidargli l’economia della Capitale, sarà il leghista Massimo Garavaglia a rispolverare Gaetano Caputi riportandolo a pieno titolo nella macchina dello Stato, secondo fonti parlamentari non smentite che vedono l’ex fedelissimo di Giuseppe Vegas ai tempi della Consob in procinto di assumere la guida del gabinetto del ministro del Turismo.

Ne è passata di acqua sotto i ponti e in pochi ricordano il clamore che Caputi riuscì a suscitare sia in entrata che in uscita dalla Commissione dove il tremontiano Vegas l’aveva chiamato strappandolo proprio al ministero dell’Economia del tributarista di Sondrio, dov’era alto funzionario e faceva parte della ristretta cerchia di uomini di fiducia del ministro nell’aprile del 2011 per fargli fare il segretario generale, salvo poi promuoverlo a direttore generale della Commissione di vigilanza dei mercati finanziari nel giro di pochi mesi.

La nomina era stata contestata fin da subito perché non era stato scelto un interno, come invece previsto dal regolamento della Consob. Secondo Vegas, però, la Commissione non contava al suo interno nessun funzionario con adeguati titoli e competenze. Tuttavia pochi mesi dopo, al momento del pensionamento del direttore generale della Consob, Caputi ne prendeva il posto con tanto di adeguamento dello stipendio. E la Commissione scopriva all’improvvisto di avere un funzionario con le qualifiche giuste per fare il segretario: Claudio Salini.

La vicenda, insieme a una lunga serie di controverse nomine, finì all’interno di un’indagine del 2014 per abuso d’ufficio a carico di Vegas, che è stata archiviata tre anni dopo “non potendo essere sostenuta un’accusa in giudizio“. Intanto Caputi aveva lasciato la Commissione rassegnando le dimissioni ufficialmente per motivi personali. Ufficiosamente, invece, all’epoca si era parlato di un forte scontro in seno alla Commissione avvenuto nell’ultima seduta del 2014. I commissari Anna Genovese e Paolo Troiano avevano infatti contestato alcune scelte strategiche di Caputi sull’esternalizzazione dei servizi informatici della Consob, affidati alla Hp e in precedenza alla Engineering che, a sua volta, era subentrata alla Vitrociset.

Secondo fonti interne della Commissione di cui all’epoca dei fatti aveva riferito ilfattoquotidiano.it, la soluzione di esternalizzare lo sviluppo informatico della Commissione, messa in atto dal direttore generale col placet del presidente, era stata ritenuta dai due commissari suscettibile di generare un aggravio di costi per la Commissione, creando problemi per la manutenzione e la sicurezza dei dati. Di qui la richiesta di Adusbef e Federconsumatori di un intervento della Corte dei Conti per appurare eventuali “illeciti gestionali” oltra alla diffida a Vegas a sostituire Caputi “con i suoi favoriti Stazi e Apponi”, il capo della divisione emittenti della Consob del quale si ricorda l’inconsueta consuetudine con il vigilato Mediobanca emersa nelle indagini sul caso FonSai-Unipol consumatosi proprio negli anni della gestione Vegas-Caputi.

Ma non finisce qui per l’ex magistrato che oltre che per i servigi resi a Tremonti, era già conosciuto ai piani alti della macchina amministrativa pubblica per aver ricoperto l’incarico di capo dell’ufficio legislativo del ministero delle Infrastrutture, guidato da Antonio Di Pietro durante il governo Prodi II dal maggio 2006 al giugno 2008. Una volta fuori dalla Consob, poi, Caputi finì di nuovo sui giornali a causa di un’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle a proposito del suo ingresso nel cda di una società quotata, la Conafi Prestitò, di cui è tuttora presidente dopo esserlo diventato a inizio 2016, un anno dopo le dimissioni dalla vigilanza dei mercati finanziari. Cioè un anno prima della fine del periodo di garanzia durante il quale i dirigenti della Consob che hanno lasciato la Commissione non possono assumere incarichi in società quotate, cioè ex vigilate, per evitare conflitti d’interessi. Pena la nullità dell’incarico, secondo la riforma Madia del 2014 introdotta con l’articolo 29-bis della legge 28 dicembre 2005 .

Agli interpellanti risposero il collegio sindacale e il cda della società che fecero sapere di aver demandato la questione agli stessi sindaci confortati da un parere legale pro veritate. Secondo il quale non ci sarebbe stata alcuna incompatibilità nel passaggio dal vigilante al vigilato da parte di Caputi. Il tutto perché, alla luce del quadro normativo, per l’applicazione della norma in questione occorrerebbe “preliminarmente un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri” che a maggio 2016 non risultava “ancora adottato”. Secondo l’interpretazione del consiglio di amministrazione di Conafi, invece, la riforma Madia avrebbe avuto valore solo per i dirigenti Consob entrati in carica dal 2014 in poi. A parer loro, quindi, quelli già in carica all’epoca della riforma, una volta scaduti sarebbero stati invece liberi di entrare uscire dalle porte girevoli con la massima disinvoltura. Un’ottica per cui l’importante non è tutelare l’indipendenza dei funzionari della vigilanza, ma informarli per tempo dei limiti che l’incarico alla vigilanza porrà al numero di poltrone che potranno occupare.

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