Negli ultimi 10 anni la riduzione del peso delle entrate fiscali (-2,5%) è stata tutta e solo a vantaggio di imprese e capitale. Al contrario, gli introiti da imposte sui redditi di individui e famiglie sono saliti dell’1,2%. Il dato è nero su bianco nella relazione di Gian Paolo Oneto, che guida la Direzione centrale Istat per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche economiche, presentata in commissione Finanze alla Camera nel quadro dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef. Tra 2010 e 2019 “la riduzione del peso delle entrate fiscali in Italia – ha detto Oneto – è dovuta principalmente alle imposte indirette (-1,9 punti percentuali.). La variazione limitata dell’incidenza delle imposte dirette (-0,6 punti ) è la risultante di una dinamica caratterizzata da una riduzione del peso delle imposte sui redditi e profitti di impresa (-1 punti) e di quelle sui guadagni di capitali (-2 punti) e, all’opposto, da un aumento delle imposte sui redditi di individui e famiglie (+2,1 punti)”. Dinamiche simili si sono osservate in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Lettonia, anche se l’Italia si caratterizza per la maggior riduzione del peso delle imposte sui guadagni di capitali.

Il direttore Istat ha anche sottolineato che nella futura riforma dell’Irpef bisogna “porre maggiore attenzione alle condizioni delle famiglie monoreddito, ma anche a quelle con figli adulti e, più generalmente, alle famiglie gravate da carichi familiari, il cui beneficio fiscale si perde progressivamente al crescere del reddito familiare”. Particolarmente forte la “disparità di trattamento fiscale per le coppie senza figli e quelle con figli adulti rispetto a tutte le altre tipologie familiari”. Inoltre andrebbe riequilibrato lo svantaggio relativo in termini di tassazione delle famiglie con un unico percettore di reddito da lavoro dipendente o pensionistico: “Le famiglie che dispongono delle sole entrate da lavoro autonomo presentano livelli di tassazione più favorevoli sia nella parte inferiore, sia in quella superiore della distribuzione del reddito, con un vantaggio più marcato quando vi sono due o più percettori di redditi autonomi”.

Inoltre, nella piccola fascia – 3% – di contribuenti che dichiarano oltre 75mila euro la maggior parte sono autonomi. Al netto delle mancate dichiarazioni, il 72% dei redditi sui quali grava l’Irpef è al di sotto dei 28.000 euro, il 22,3% si colloca tra 28.001 e 55.000 euro, solo il 2,7% è tra 55.001 e 75.000 euro e il 3%, appunto, al di sopra. Oltre la metà (51,8%) dei redditi lordi da lavoro autonomo e il 45,7% di quelli da pensione si concentra nella fascia di reddito più bassa (fino a 15.000 euro annui). I redditi da lavoro dipendente risultano, invece, collocati prevalentemente nelle classi centrali: il 39,7% nel secondo scaglione (tra 15.001 e 28.000 euro) e il 21,6% nel terzo scaglione (28.001-55.000 euro).

Ancora molto forte il gender gap: il 44,5% delle donne con reddito da lavoro dipendente e il 59% delle donne con lavoro autonomo hanno redditi che non superano i 15.000 euro, rispetto al 27,6% dei dipendenti uomini e al 47,7% dei percettori maschi autonomi. Non solo. Dal punto di vista della distribuzione dei redditi per età emerge che tra i percettori di reddito da lavoro dipendente si colloca nello scaglione più basso poco più del 50% dei giovani (individui con meno di 35 anni di età) e di anziani (65 anni e oltre). La polarizzazione ha caratteristiche diverse tra i percettori di lavoro autonomo: in questo caso rientrano nel primo scaglione quasi il 70% dei giovani a fronte di poco più del 50% di anziani e quote di poco inferiori per le età intermedie (con un minimo del 42,7% per quella 55-64 anni). Anche il titolo di studio discrimina fortemente la distribuzione dei redditi. In particolare , conferma ancora l’Istat, “guadagnano redditi non superiori ai 15.000 euro annui la grande maggioranza dei lavoratori con un titolo inferiore alla licenza media: quasi il 60% all’interno del lavoro dipendente e quasi il 70% di quello autonomo

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