L’Italia vanta una quantità di teatri storici impareggiabile al mondo. La sola bellezza dei nostri teatri basterebbe a farne luoghi da ammirare per la loro straordinaria varietà e bellezza architettonica. Ma i teatri sono vita, mestieri, artigianato, luoghi dove si producono emozioni che solo il palcoscenico può regalare. Questa stagione teatrale è saltata, come quella delle sale cinematografiche, ma il cinema può sopravvivere, certo non vivere, attraverso le piattaforme digitali; il teatro e i suoi lavoratori no.

Un attore di teatro non di nome, cioè con una carriera da “comprimario”, magari lunga e di alto livello, lavorava, prima della pandemia, non più di quattro o cinque mesi in una stagione, e la sua paga media lorda si aggirava intorno ai 200 euro al giorno, dai quali sottrarre vitto e alloggio in trasferta, che le produzioni non pagavano.

Se togliamo metà della paga con le tasse, restano cento euro al giorno con cui pagarsi un albergo o stanza in affitto e il cibo, insomma non restava nulla in tasca, o pochissimo. Per i tecnici, macchinisti, elettricisti, sarte, attrezzisti, fonici, trasportatori, tutti mestieri che necessitano tecnica e capacità specifiche, le paghe erano anche più basse. Mai, dal dopoguerra, le attività dello spettacolo dal vivo si erano fermate, mai si era interrotto il dialogo culturale e artistico tra “teatranti” e spettatori. Un dolore grande per tutti, ma un danno profondo – e in alcuni casi irreparabile – per il tessuto teatrale del nostro paese.

Il teatro non è qualcosa di cui una società possa fare a meno, il teatro unisce le persone, le fa incontrare, discutere, ridere e piangere insieme, insegna, informa, critica, prende in giro, accusa, denuncia, fa sognare, viaggiare, il teatro è la società del passato, quindi quella del futuro, il Teatro ci rende insomma umani. Il teatro è un meccanismo semplice: basta un attore, che finge di essere quello che non è, e uno spettatore che finge di credere che l’attore sia veramente colui che finge di essere, un gioco che si fa in due, non un gioco passivo, un gioco vivo che crea vita e rapporti profondi.

Finché i teatri non riapriranno, potremo, noi teatranti e voi spettatori, continuare ad immaginare questo gioco, tenerlo presente in noi, per tornare – finita questa tragedia, sperando che un numero grande di compagnie abbia la forza di ripartire – ad ascoltarci e parlarci, stupendoci e fidandoci gli uni degli altri, ad abbracciarci, ma per davvero!

Buon Natale.

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