“Abbiamo cambiato quattro carceri in condizioni sempre più difficili. Abbiamo subito delle umiliazioni, pressioni piscologiche, ma mai violenze“. Hanno navigato tutta la notte, con l’arrivo previsto per domenica pomeriggio, ma i 18 membri degli equipaggi dei due pescherecci di Mazara del Vallo possono finalmente tirare un sospiro di sollievo, dopo 108 giorni di prigionia nelle mani degli uomini del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar. E così, il capitano della Medinea, Pietro Marrone, guarda indietro a quei mesi interminabili nelle carceri dell’uomo forte di Bengasi e ripercorre i momenti più difficili della prigionia.

“L’ultima cella, dove abbiamo trascorso la notte prima di avere la notizia della liberazione, era buia. Il cibo ci veniva portato in ciotole e non era buono. È stato davvero molto complicato, accendevano e spegnevano le luci a loro piacimento”, ha raccontato nel corso del primo contatto radio col suo armatore Marco Marrone.

Inizialmente, quando i carcerieri hanno comunicato ai 18 uomini che sarebbero finalmente tornati a casa, i pescatori di Mazara stentavano a crederci: “Ieri – racconta Marrone – sono venuti a prenderci e una guardia ci ha detto ‘preparatevi che dobbiamo andare via’. La stessa cosa era già successa circa un mese fa, quindi nessuno di noi ormai ci credeva”. Il capitano della Medinea prosegue poi la sua ricostruzione della giornata: “Dopo l’annuncio che saremmo stati liberati ci siamo preparati. Abbiamo fatto la barba, ci siamo fatti prestare qualche bottiglia di shampoo, ci siamo lavati, ci hanno portato qualche tuta. Poi a bordo di un pullman ci hanno portato dalle nostre varcuzze (i pescherecci ndr). Stanotte finalmente, dopo avere ricaricato le batterie, abbiamo acceso i motori e siamo partiti. Adesso non vediamo l’ora di tornare a casa”.

Il peschereccio, insieme all’Antartide, è da questa notte in viaggio per Mazara. L’arrivo è previsto intorno a domenica pomeriggio. “Pensavamo di non farcela – ha aggiunto Marrone nel colloquio col suo armatore – sono stati tre mesi pesantissimi. Ci hanno fatto cambiare quattro prigioni. E una di queste su trova sottoterra, al buio. Ci passavano il cibo al buio da una grata e non sapevamo nemmeno cosa fosse”. La voce è provata ma ferma e si incrina solo quando l’armatore gli dice che la mamma del comandante, Rosetta Ingargiola, ha lottato fin dall’inizio, a 74 anni non ha mai mollato. A quel punto il capitano si emoziona, ma subito si riprende e continua il suo racconto: “Ci hanno trattato da terroristi – dice – mancavano solo le botte. Per il resto ci hanno umiliato, abbiamo subito violenza psicologica”. E ricorda che “non c’è stato alcun processo. Ci tenevano in una gabbia dopo averci divisi”. Sì perché i tunisini e gli italiani sono stati messi in prigioni diverse. “Ci siamo potuti riabbracciare solo dopo 70 giorni – dice – è stato un momento emozionante. Cugì, ce la siamo fatta addosso per lo spavento“.

Ieri sera, finalmente, il primo pasto decente. “Solo dopo averci detto che sarebbe arrivato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ci hanno dato del cibo commestibile – racconta -, prima non sapevamo cosa mangiavamo. Terribile”. E poi racconta che non avevamo neppure il cambio dell’intimo. “Indossavamo sempre le stesse cose, è stato davvero difficile, non vedo l’ora di tornare a casa”.

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