L’epidemia di Covid compie un anno, o quasi. L’anno è l’unità comunemente usata per le statistiche sanitarie, che non avrebbero senso su tempi troppo brevi, ed è quindi possibile incominciare qualche valutazione retrospettiva su ciò che è successo in Italia e nel mondo.

Il bilancio sanitario è pesante: la mortalità per Covid secondo l’Ecdc ha superato la soglia di 100 decessi ogni centomila abitanti in 4 grandi nazioni: nell’ordine Belgio (154), Perù (112), Italia (104) e Spagna (101). Tutti questi paesi avevano messo in atto lockdown e strategie di contenimento.

Nella statistica sanitaria ci si concentra molto sui tassi di mortalità perché sono registrati con grande accuratezza; e il dato migliore sarebbe quello dell’eccesso di mortalità, piuttosto che quello della mortalità attribuita al Covid-19, perché quest’ultimo risente dei possibili errori sulla diagnosi di morte.

I numeri assoluti, in assenza di contesto interpretativo, sono di difficile interpretazione; pertanto si possono considerare due parametri di confronto: il primo è il tasso annuale di mortalità “normale”: circa mille per centomila nei paesi avanzati; il secondo è il tasso di mortalità atteso per l’epidemia in atto, sul quale dobbiamo attenerci ai modelli statistici predittivi.

Un modello italiano apparentemente era stato sviluppato ma poi è stato secretato dal governo; però due buoni modelli inglesi sono stati pubblicati presto e poi riveduti e corretti; uno sviluppato alla London School of Hygiene and Tropical Medicine e l’altro all’Imperial College.

Entrambi questi modelli stimavano una mortalità, in assenza di interventi di contenimento, compresa tra 450 e 750 per 100mila abitanti alla fine dell’epidemia, e la fine dell’epidemia entro l’anno (la mortalità è data dal numero di decessi causati dalla malattia nell’intervallo di tempo considerato, diviso per la numerosità della popolazione; la letalità invece è data dal numero di decessi diviso il numero di individui contagiati).

Poiché però nessuno dei due modelli prevedeva la variazione stagionale della contagiosità osservata durante l’estate, la durata dell’epidemia è maggiore del previsto e l’intensità è minore. In entrambi i modelli la soglia di immunità necessaria per far terminare l’epidemia era stimata tra il 60 e l’80% della popolazione. Le misure di contenimento analizzate nei due modelli sono di due tipi: di soppressione e di mitigazione.

Le misure di soppressione, più energiche, abbassano la mortalità dell’epidemia ma ne prolungano talmente la durata che il calcolo esce dall’intervallo di tempo oggetto di simulazione (due anni) al termine del quale sono previsti 80-120 decessi per centomila abitanti.

Le più efficaci misure di mitigazione invece arrivano a dimezzare il tasso di mortalità atteso, mentre la fine dell’epidemia, pur ritardata, rientra nell’intervallo di tempo coperto dalla simulazione. Sarebbe ovviamente assurdo pensare di avere misure che eliminino la mortalità per Covid-19.

Ci sono quindi due considerazioni importanti da fare: la prima, che a giudicare dal numero di decessi, dal numero di nuovi casi giornalieri e dal tasso di immunizzazione, l’epidemia non è finita e probabilmente non è neppure vicina alla sua fine naturale (che però potrebbe essere accelerata dai vaccini ormai disponibili); la seconda, che anche i paesi che hanno avuto i più alti tassi di mortalità (tra il quali il nostro) sono andati finora alquanto meglio di come si poteva temere.

La variabilità nella mortalità osservata in diversi paesi è ampia: ad esempio l’Uk ha avuto finora circa 95 per centomila abitanti, gli Usa 89, la Francia 85; ma la Grecia soltanto 31, e la Germania 25. La Svezia, che ha attuato misure di contenimento minimali, ha avuto 72 decessi per centomila abitanti.

Uno studio importante dell’Università di Edimburgo, basato sul modello dell’Imperial College, indica come determinante principale del tasso di mortalità la distribuzione demografica della malattia: i paesi che per qualunque ragione riescono a proteggere meglio gli anziani hanno la mortalità più bassa.

E’ importante notare che proteggere gli anziani, a parte evitare gli errori madornali come quelli commessi nelle Rsa della Lombardia, dipende spesso da fattori culturali che non vengono intenzionalmente messi in atto nel corso dell’epidemia: ad esempio in Italia la convivenza degli anziani con familiari più giovani e quindi la loro esposizione è maggiore che in altri paesi.

Un dato molto interessante che viene dalle simulazioni è che il distanziamento sociale applicato ai soli anziani è la misura preventiva più efficace nel ridurre la mortalità e che la sua efficacia diminuisce se viene accoppiato a misure di isolamento applicate ai giovani, quali la chiusura delle scuole.

Questo succede perché la soglia di immunità della popolazione richiesta per terminare l’epidemia è determinata e ridurre la circolazione del virus tra i giovani comporta inevitabilmente lo spostamento demografico della malattia verso la popolazione più anziana.

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